Dal divorzio all’aborto fino alla #Cirinnà
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I dati indicano che le donne desiderano sposarsi e fare figli anche da giovani. Università o meno. Sono i maschi che rimandano, preferendo la “singletudine”
Caro Langone, la colpa del crollo demografico è più di voi uomini che di noi donne
C’è un femminismo ateo e materialista e un femminismo cattolico. Se il primo ha fatto male a tutti, il secondo ha fatto bene sia alle donne sia agli uomini.
Il femminismo cattolico è l’unico vero antidoto al maschilismo
Alcuni giorni fa su tempi ho asfaltato Johnny Depp e quelli come lui che buttano in discarica la madre dei loro figli per farsi quelle con la meta’ dei loro anni nell’illusione di tornare giovani. Il gramde Pozzetto batte Johnny versione Gloria Swanson sul viale del tramonto 10 a zero. Eddai, cliccate consiglia e condividete!
La scorsa settimana scorsa sono stata per la prima volta negli Usa. Il viaggio di andata è andato benissimo, quello di ritorno è stato molto difficoltoso. In un piccolo post su Facebook ho descritto in maniera molto sommaria le disavventure che mi sono capitate all’aeroporto internazionale di Chicago. Pensavo che il mio post lo avrebbero letto solo gli amici di Facebook. Invece, pare che abbia attratto l’attenzione di molte persone esterne alla cerchia dei miei amici. Un tizio di cui non faccio il nome ha condiviso il suddetto post, commentandolo in maniera abbastanza sprezzante: «Le concatenazioni che danno vita a vere e proprie commedie degli equivoci, la fiction cinematografica ne ha tratto film piuttosto divertenti, sono sempre possibili. Qui però vedo molta approssimazione, improvvisazione e persino “voglia di stellone italico”. Tutto bene e comprensibile diciamo sotto i 30 anni, quando tutto diventa avventura e divertimento e vacanza». Io ho protestato: «Please conoscere bene le situazioni prima di sparare commenti sprezzanti per darsi arie da viaggiatore consumato». Lui ha ribattuto: «Gentile Giovanna Jacob, attraverso un tag, mi ha semplicemente chiesto un parere sulle vicissitudini da lei descritte e rimbalzate sul web, Le ho espresse sulla base di quanto era riportato sul post, non avevo altri elementi».
Non so se è proprio vero che il mio racconto è rimbalzato sul web. Se è vero, credo sia opportuno fornire adesso un racconto più dettagliato. Poiché scrivere su uno smartphone è scomodissimo, ho tralasciato molti fatti. Volevo scrivere un piccolo pensiero “esistenziale” sulla mia disavventura aeroportuale, non un pezzo per una rivista di viaggi. Ma se volete un pezzo in stile “touring club”, eccovelo servito.
Innanzitutto, riguardo ai viaggi in aereo io sono certamente inesperta ma il mio compagno di viaggio non lo è assolutamente: è andato più volte negli Usa, Chicago compresa, e non ha mai perso un volo. Egli ha fatto più volte il tragitto da downtown (detta anche Chicago loop) all’aeroporto O’Hare e non ci ha mai messo più di mezzora-quaranta minuti. Esattamente sette giorni prima, subito dopo essere sbarcati negli Usa, il tragitto in taxi dall’aeroporto alla città non era durato più di quaranta minuti (avevo cronometrato il viaggio per sicurezza). Siccome dunque non siamo cialtroni approssimativi con “voglia di stellone italico”, avevamo preso la strada dell’aeroporto ben tre ore prima della partenza del nostro aereo. Contavamo di arrivare all’aeroporto almeno due ore prima della partenza. Ma quel giorno, proprio negli stessi istanti in cui salivamo a bordo del taxi, un gigantesco tir si rovesciava e spargeva un liquido pericoloso sulla superstrada, coinvolgendo una decina i automobili in un gigantesco incidente a catena (questa mi ricorda proprio “Il maestro e Margherita”). Quando il nostro taxi è entrato sulla superstrada, il traffico era ormai completamente paralizzato. Camminando a passo d’uomo, il taxi è arrivato in aeroporto circa 55 minuti prima della partenza del nostro volo. Ora che abbiamo finito di scaricare i bagagli, entrare nel terminal, individuare e raggiungere il gate giusto, mancavano poco più di quarantacinque minuti alla partenza del nostro aereo. Pensavamo che dovessero bastare, considerando che la maggior parte delle compagnie chiudono il gate fino a mezz’ora prima, alcune perfino quindici minuti prima. Oltretutto noi avevamo fatto il check-in online. E invece quarantacinque minuti non sono bastati: il gate era ormai chiuso.
La prima cosa che abbiamo fatto è cercare personale della compagnia da cui avevamo acquistato i biglietti: la Air Berlin. Ma al gate non c’era un solo dico un solo impiegato della Air Berlin. C’era solo un numero telefonico sul cartello della suddetta compagnia. Digitiamo il numero sul cellulare: un impiegato scorbutico con accento tedesco ci dice che non è possibile né essere rimborsati né avere un altro volo con lo stesso biglietto. Aggiunge che per avere un altro volo in giornata con la stessa compagnia dobbiamo sborsare 2000 euro a cranio. Ma siamo matti? Quando protestiamo, lui ribatte che non dobbiamo lamentarci con la Airberlin ma con la Alitalia, che sembra avere organizzato il nostro pacchetto viaggio Milano-Chicago e ritorno. Infatti, da Milano a Berlino avevamo viaggiato con Alitalia mentre da Berlino a Chicago avevamo viaggiato con Air Berlin. Al ritorno avremmo dovuto viaggiare da Chicago a Berlino con Air Berlin e da Berlino a Milano con Alitalia. Allora andiamo al gate della Alitalia sperando di trovare qualcuno che parla la nostra lingua, dal momento che spiegare questioni così delicate in un’altra lingua è faticosissimo. Lì all’ufficetto della Alitalia troviamo solo una impiegata afroamericana. Ci dice che l’unico responsabile italiano quel giorno non c’è e che lei non può aiutarci in nessuna maniera. Allora digitiamo sul cellulare il numero della Alitalia segnato sul cartello: un tizio maleducato ci dice che del nostro volo alla Alitalia non ne sanno nulla e che dobbiamo prendercela con la Air Belin. E siamo da capo. Nuova telefonata alla Air Berlin, nuovo buco nell’acqua.
A quel punto ci rassegniamo al pensiero di dovere acquistare un altro biglietto. Cerchiamo una biglietteria generale: non ce n’è una. Cerchiamo un servizio informazioni: non ce n’è uno. Gli unici che ci danno qualche informazione sono quelli del pronto soccorso. Allora cerchiamo di acquistare direttamente i biglietti prima nel gate di una compagnia: ci sparano cifre astronomiche. Proviamo nel gate di un’altra compagnia: altre cifre astronomiche. Per trovare biglietti che fanno al caso nostro, ossia che non ci mandino sul lastrico, dobbiamo potere confrontare i prezzi di tanti diversi voli di tante diverse compagnie. In poche parole, dobbiamo potere consultare un sito come Momondo. L’unica connessione wi-fi disponibile in aeroporto è a pagamento (Boingo). La paghiamo senza pensarci due volte, consultiamo Momondo e troviamo un volo che fa per noi: partenza martedì 23 giugno alle 16.30 ora di Chicago, scalo di due ore al J. F. K. di New York, arrivo a Milano alle 11.30 di mattina ora italiana. Costo: 700 dollari ossia 660 euro. Compagnia: Jet Blue da Chicago a NY e poi Emirates da NY a Milano. Perfetto. Tiriamo fuori la sua carta di credito: non funziona. Tiro fuori la mia: non funziona. Chiedo a mio padre di provarci lui da Milano: neppure la sua carta funziona. Siamo affranti. L’ultima spiaggia sembra essere il consolato italiano di Chicago, che a quell’ora della domenica è chiuso. Sul sito leggiamo che è aperto al pubblico dalle 9 alle 12 dal lunedì al venerdì. A quel punto capiamo che l’unica cosa che possiamo e dobbiamo fare è arrenderci: resteremo a Chicago almeno altri due giorni. In fondo siamo contenti di avere almeno un altro giorno a disposizione per gustarci questa città straordinaria.
Come è andata a finire? Non malissimo. Alla sera della domenica mi rilassavo beatamente sul divano regale del salottino regale – con bow-window all’inglese – della nostra residenza regale di Bronzeville, pensando che alla mattina del giorno successivo mi sarei presentata al consolato italiano, in Michigan Avenue, alle nove in punto. Invece il mio compagno di viaggio aveva deciso che non si sarebbe dato pace finché la sua carta di credito non avesse funzionato a dovere. Sennò uno la carta di credito che ce l’ha a fare? Senza mai staccarsi dal suo piccolo pc da viaggio, tenta e ritenta ininterrottamente di comprare due posti in quel volo. A sorpresa, dopo un numero imprecisato di tentativi vani, la sua carta improvvisamente e inspiegabilmente funziona e il volo per Milano è nostro. E’ nostro!!!! Come si spiega il prodigio? Non si spiega. La nostra ipotesi naif è che le carte di credito italiane non funzionino alla domenica ma tornino al funzionare al lunedì. Infatti, quando riprende a funzionare, a Chicago è notte mentre in Italia è mattina e quindi le banche italiane sono aperte.
Il lunedì 22 giugno è stato meraviglioso, la mattina di martedì 23 giugno pure. Ed è il momento di prendere i bagagli. Le recenti disavventure ci hanno insegnato che è sempre meglio evitare la superstrada. Allora prendiamo la cosiddetta Blue Line (la metropolitana underground, che collega Chicago loop all’aeroporto internazionale O’hare). In poco meno di un’ora siamo all’aeroporto. Passiamo tutti i controlli, ci presentiamo al gate con larghissimo anticipo, rilassati e contenti. Ma ci aspetta una piccola brutta sorpresa: a causa di una tempesta che si abbattuta sull’aeroporto J. F. K. di New York, il nostro volo partirà con due ore di ritardo. Che cosa? Due ore? Ma in due ore noi perdiamo la coincidenza!!! Allora parliamo con l’impiegato della Blue jet: «Tranquilli, anche col ritardo arriverete molto tempo prima della partenza del volo per Milano». Ci sembra strano. Forse che il viaggio da Chicago a NY duri meno di quanto pensiamo? Dopo un’oretta, il mio compagno di viaggio capisce l’equivoco: l’impiegato pensava che noi fossimo imbarcati sul volo precedente al nostro. Allora torniamo da lui, gli spieghiamo la situazione e succede una cosa incredibile: lui non solo ammette di avere sbagliato ma (forse temendo anche di perdere il posto) fa di tutto per rimediare alla gaffe. Con una sollecitudine pazzesca riesce a procurarci in men che non si dica un posto nel volo precedente al nostro, senza chiederci alcun supplemento di prezzo. E così siamo a New York in tempo per prendere l’aereo della Emirates. Dell’aereo e del servizio a bordo della Emirates possiamo solo dire che è eccellente: ottimi pasti, poltrone comode, personale molto gentile, scelta vastissima di film sullo schermo interattivo piazzato davanti a ciascuna poltrona. Io ho potuto vedere “Birdman”, che è molto recente. Al piano superiore dell’aereo c’è perfino un bar lounge e un negozio duty free. E finalmente siamo a casa.
Conclusioni. La nostra disavventura ci ha insegnato tre cose: primo che è meglio raggiungere gli aeroporti con i treni, secondo che è meglio evitare le compagnie aeree tedesche o almeno è meglio evitare la Air Berlin e terzo è meglio non fidarsi neppure della Alitalia. Per quanto riguarda il viaggio verso l’aeroporto, meglio prendersi un’ora su treno o metropolitana, che sai quando parti e sai quando arrivi, piuttosto che prendere l’automobile o il taxi, che sai quando parti e non sai quando arrivi. Se non c’è traffico le quattro ruote sono più veloci del treno, se c’è traffico rischi di perdere l’aereo. E come fai a prevedere se ci sarà traffico oppure no? Per quanto riguarda la Air Berlin, il personale tedesco non ha una particolare propensione a trattare i clienti italiani col dovuto rispetto ed inoltre chiude il gate troppo presto, dimostrando il massimo del disprezzo per i viaggiatori in difficoltà. Per quanto riguarda l’Alitalia, i suoi impiegati sono dei cialtroni protetti dai sindacati che non hanno mai avuto voglia di lavorare. L’Alitalia è una compagnia cialtrona, fallimentare e fallita, che per non essere stata lasciata morire tanto tempo fa, come era giusto che fosse, ha succhiato troppo a lungo il sangue ai contribuenti italiani. Quei cialtroni dovrebbero fare viaggiare noi italiani gratis solo per risarcirci dei soldi che ci hanno preso.
Se vi volete bene, viaggiate con la Emirates: vi riservano un trattamento a cinque stelle anche se viaggiate in classe economica. Invece la Airberlin offre un servizio a bordo meno lussuoso, chiude il gate troppo presto e non rispetta i clienti. E non voglio cedere alla tentazione di trarre dal comportamento del personale della Air Berlin conclusioni affrettate in stile Giovannino Guareschi sul carattere dei tedeschi. D’altra parte, mi dicono che anche gli stessi clienti tedeschi parlano male della Air Berlin: https://de.trustpilot.com/review/www.airberlin.com
Finalmente è apparso il nuovo sito di Pepe. Ne approfitto per linkare il mio artcolo su Madonna la cantante e la morte. Ci credereste che la chirirgia estetica, di cui la nostra amata cantante abusa sistematicamente, è una prova indiretta dell’immortalità dell’anima?
Se la morte è la cosa più naturale, da dove viene il desiderio di non morire? Come l’orrore della morte dice l’anima immortale, così l’orrore della vecchiaia parla della resurrezione.
http://www.pepeonline.it/index.php/component/k2/item/134-madonna-e-l-eterna-giovinezza
OGGI E’ APPARSO SU “TEMPI” UN MIO ARTICOLO SU HALLOWEEN CHE E’ UNA SINTESI E UN APPROFONDIMENTO DEGLI ARTICOLI GIA’ APPARSI SU CULTURA CATTOLICA.
MI RACCOMANDO, TUTTI SUL SITO DI TEMPI A CLICCARE “MI PIACE” SULL’ICONA DI FACEBOOK!!!!!!
DUE ESTRATTI:
(…)
Si sa che in Francia, a partire dal XIV secolo, si usava inscenare la “danza macabra” ogni 2 novembre: figuranti mascherati da contadini, cavalieri, re, mendicanti, preti, artigiani, dame eccetera (i principali tipi umani della società di quei tempi) venivano condotti alla tomba da un figurante mascherato da morte oppure da diavolo. (Fra parentesi, troviamo una messinscena della danza macabra, che ricorda da vicino quelle tardo-medievali, nella parte finale di un famosissimo film: Il settimo sigillo di Ingmar Bergman). Nella maggior parte degli affreschi e delle miniature sul tema della “danza macabra”, molto caro agli artisti del cosiddetto “autunno del Medioevo” (secoli XIV e XV), non mancano, appunto, i particolari macabri: non solo teschi e scheletri ma anche corpi feriti, cadaveri infestati dai vermi eccetera. D’altra parte, teschi, scheletri e ogni genere di riferimenti alla morte e alle realtà preternaturali abbondano nell’arte di tutto il Medioevo e anche nell’arte barocca. Sulle pareti di certe chiese di epoca barocca troviamo perfino pile di teschi e ossa umane (si veda ad esempio San Bernardino alle ossa a Milano). Nei capitelli e nei bassorilievi delle cattedrali medievali proliferavano diavoli, anime supplizianti e bestie mostruose (simboli, queste ultime, dei vizi capitali). Lungo i canali di scolo che circondano i muri esterni delle cattedrali proliferavano invece i misteriosi gargoyles: creature fantastiche, ibride, polimorfe, spaventose, uscite direttamente fuori dalle profondità dell’inconscio popolare. Esagerando un poco, si potrebbero trovare dunque delle somiglianze fra molta arte cristiana, medievale e barocca, e il moderno cinema horror. D’altra parte, l’Inferno di Dante contiene dettagli che potremmo addirittura definire “splatter”: dannati ustionati, squarciati, congelati… Non mancano neppure riferimenti al cannibalismo: il “fiero pasto” del conte Ugolino è degno di Non aprite quella porta.
A questo punto, una domanda sorge spontanea: ma tutte queste immagini macabre non saranno forse diseducative, non accarezzeranno forse i bassi istinti sadici del pubblico, non desacralizzeranno e non banalizzeranno il tema della morte? La risposta è no. Queste immagini hanno una funzione sommamente educativa: ricordano a grandi e piccini che prima o poi tutti, sia mendicanti che imperatori, dovranno fare i conti con la morte (“memento mori”), insegnano a temere le insidie del tentatore e ammoniscono che, a causa del “principe di questo mondo”, il mondo è un posto pericoloso, pieno di “mostri” in forma umana pronti a farti del male. Bisogna sottolineare che i cristiani possono guardare con serenità alla morte e al male perché sono certi che Cristo ha vinto entrambi. E così si capisce perché l’arte cristiana contiene molti riferimenti al male e alla morte, mentre l’arte classica ne contiene ben pochi. Privi del dono della speranza, i pagani antichi si inebriavano con immagini marmoree di corpi splendenti di bellezza e giovinezza proprio per non pensare al triste destino dei corpi.
(…)
Infatti, a differenza del paganesimo antico, il Cristianesimo cattolico romano è una religione ottimista e festosa. Se i pagani facevano di tutto per non pensare al dolore e alla morte, invece i cattolici possono perfino ridere e scherzare, almeno una volta all’anno, anche della morte e del diavolo, perché sanno che Cristo li ha sconfitti. E le maschere macabre e orrorose che vanno in giro per le strade nella notte di Halloween sono discendenti moderne di quel popolo di diavoli, supplizianti, cadaveri, teschi, scheletri, bestie mostruose e gargoyles che vediamo nelle cattedrali medievali e nelle chiese barocche. Sicuramente le leggende popolari irlandesi sulle apparizioni di morti e di demoni nel momento del passaggio dall’estate all’inverno non avevano alcuna seria giustificazione teologica e tuttavia affondano le loro radici proprio nella teologia cattolica. Erano leggende cristiane dotate di un indubitabile valore pedagogico: in primo luogo invitavano i fedeli a pregare per le anime dei defunti, in secondo luogo li aiutavano a non dimenticare che anche loro un giorno sarebbero stati defunti (“memento mori”), in terzo luogo li invitavano a temere gli inganni e le seduzioni del tentatore. In conclusione gli scherzi, le risate, i travestimenti macabri non servo ad “onorare” il demonio, ma al contrario servono per celebrare la vittoria di Cristo sul demonio e ad esorcizzare la paura della morte.
(…)
Rispetto ai costumi e alle maschere tradizionali del Carnevale, quelli di Halloween sono molto più macabri e spaventosi. Si potrebbe dire che discendano direttamente dal popolo di demoni dalle fattezze bestiali che ornano le pagine dei libri medievali e dai gargoyles: mostri di pietra che, attaccati ai canali di scolo che circondano i muri esterni delle cattedrali medievali, sputano l’acqua piovana dalla bocca. I gargoyles sono creature fantastiche, ibride, polimorfe, spaventose, uscite direttamente fuori dalle profondità dell’inconscio popolare.