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Charlie Hebdo: no al laicismo autoritario

Mio articolo apparso oggi su Cultura Cattolica:

http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=36744

SI SCRIVE GIUSTIZIA SOCIALE E SI LEGGE INVIDIA SOCIALE, I. Il socialismo si basa sull’egoismo irrazionale.

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Non mi stupisco affatto che la maggioranza degli americani abbia riconfermato il peggiore presidente della storia degli Usa. E’ certamente vero che la democrazia è largamente preferibile a qualsiasi altra forma di governo, ma è altrettanto vero che non sempre in democrazia vincono i migliori. Anzi, si direbbe che i migliori vincano più raramente dei peggiori. Hitler, ad esempio, era stato votato da una percentuale consistente degli elettori tedeschi. Per il resto, vincono quasi sempre i mediocri. La maggioranza degli elettori tende a scartare i migliori per due ragioni. La prima è che la maggioranza non ha sufficiente preparazione per distinguere  il meglio dal peggio, il bene dal male, il vero dal falso. Troppo pochi sono quelli che hanno sufficiente preparazione politica e culturale per capire che il socialismo è il peggio mentre il liberalismo è il meglio. Tutti gli altri si fanno convincere dai demagoghi di sinistra che la crisi sarebbe effetto del “liberismo selvaggio”. La seconda ragione per cui la maggioranza degli elettori tende a scartare i migliori è che il peggio è più seducente del meglio.

Tutti gli economisti modernisti, ossia tutti gli economisti dei secoli ventesimo e ventunesimo tranne Friedrick von Hayek e qualcun altro, concepiscono l’economia come una sorta di macchina. Questa macchina non sarebbe mossa dagli attori economici, che ne sarebbero piuttosto semplici ingranaggi senza autonomia, ma piuttosto da un insieme di implacabili leggi fisiche. Dal momento che crede di conoscere queste fantomatiche leggi, l’economista modernista crede anche di conoscere la maniera di “rimettere in moto” l’economia in tempi di crisi. In realtà, più egli la “rimette in moto” e più l’economia rallenta, fino a fermarsi, anche se egli non lo ammette. Non si può “rimettere in moto” o “aggiustare” l’economia senza finire di romperla per la semplice ragione che l’economia non è una macchina e gli attori economici non sono ingranaggi. Sono persone che agiscono in base alla loro cultura, ai loro valori e ai loro desideri. Sono le persone, non presunte leggi fisiche a muovere l’economia. E noi cristiani sappiamo che, non si possono capire i comportamenti umani se non si considera anche un fattore occulto le cui conseguenze sono tuttavia evidenti, tangibili: il peccato originale. In realtà, non c’è neppure bisogno di credere nel dogma del peccato originale per rendersi conto che nessun essere umano è immune alla seduzione del male. Gli uomini spesso non fanno il bene che vogliono ma il male che non vogliono. Credo che anche un bravo psichiatra ateo sia pronto a confermarlo.

Comunque, per andare subito al punto, l’economia ha meno a che fare con la matematica che con la morale. Non a caso, i tomisti la consideravano una branca della filosofia morale. Per chi non lo sapesse i tomisti e lo stesso san Tommaso sono stati i primi teorici del liberalismo. Molti faticano ad ammettere che la dottrina liberale sia figlia del cattolicesimo. Per fortuna, Murray Rothbard aveva l’onestà intellettuale e il coraggio di ammetterlo (Catholicism, Protestantism, and Capitalism). Quindi, bye bye a Weber, secondo cui il capitalismo liberale sarebbe figlio del protestantesimo. E bye bye anche ad Ayn Rand, secondo cui il socialismo sarebbe figlio del Cristianesimo. In realtà, è fin troppo facile dimostrare che i totalitarismi politici di destra e di sinistra sono figli dell’illuminismo ateo. Il socialismo è precisamente l’elemento fondamentale di ogni totalitarismo, non solo di sinistra ma anche di destra. Mussolini non si era forse formato nel partito socialista? E nazismo sta forse per nazional – socialismo? Affermando che il socialismo si fonderebbe su un generico “altruismo” di matrice cristiana, la Rand dimostra di essere vittima della propaganda dei socialisti stessi. Sono loro che vogliono fare credere che il socialismo si basi sulla carità cristiana, che si anzi la forma più perfetta di carità, la carità elevata a sistema politico. E purtroppo, molti cristiani ci credono.

In realtà, il socialismo non ha nulla a che fare con con un generico altruismo: ha a che fare piuttosto, come argomenterò, con la superbia, l’avidità, la pigrizia e soprattutto con l’invidia. Si scrive “giustizia sociale” e si legge “invidia sociale”. Al presunto altruismo socialista, la Rand oppone un “egoismo razionale”, che lei considera non a torto il principio fondamentale del liberalismo. Senza dubbio esiste un egoismo sano, giusto e razionale, che non è se non il retto amore di sé. Come si può amare il prossimo come sé stessi se non si ama sé stessi? Ma esiste anche un egoismo cattivo, che è la volontà di procurarsi dei vantaggi a spese degli altri. Ebbene, la Rand non si era resa conto che il socialismo si basa sulla forma peggiore di egoismo. Il socialista dice che vuole togliere ai ricchi per dare ai poveri: in realtà vuole dare solo a sé stesso. Oltretutto, quelli che il socialista chiama “ricchi” non sono aristocratici fannulloni che campano di rendita (anche perché l’aristocrazia di sangue è quasi del tutto estinta, Deo gratias) bensì cittadini onesti che producono ricchezza col duro lavoro. Quando dice che vuole togliere ai ricchi per dare ai poveri, il socialista in realtà intende che vuole togliere a quelli che lavorano duramente per dare a quelli che lavorano di meno o oziano, fra i quali che lui stesso. Insomma, il socialismo è il sogno egoista di vivere a spese degli altri. Infine, il socialismo non si basa sull’amore: si basa sull’odio. Il socialista non ama i poveri: odia i ricchi ossia i cittadini produttivi. Li odia perché li invidia. In definitiva, non vuole aiutare i poveri: vuole rendere poveri anche i ricchi.

Qualcuno dovrebbe informare quei cristiani poco avveduti che credono all’equazione socialismo = altruismo, ossia i catto-comunisti, che il loro amato socialismo democratico – terribile ossimoro – fu inventato da uno che perseguitava la Chiesa. Si chiamava Bismark. La kulturkampf anti-cattolica di Bismark preparò il terreno all’affermazione del nazismo. Repetita iuvant: nazismo significa nazional-socialismo.

Dunque, esaminiamo il socialismo e il liberalismo dal punto di vista morale. Domanda: perché la stragrande maggioranza degli occidentali colti preferiscono il socialismo al liberalismo? Risposta: perché il vizio è più seducente della virtù. La mia tesi, che in seguito tenterò di argomentare, è che il socialismo ha più successo del liberalismo perché il socialismo fa leva sui vizi capitali degli elettori mentre il liberalismo esalta le virtù.

Il socialismo è una sirena molto seducente, che assume forme diverse. C’è il socialismo moderato della socialdemocrazia e c’è il socialismo estremo del comunismo. Fra socialdemocrazia e comunismo ci sono numerose forme intermedie. Tutte si basano su un dogma che rimane stabile nel tempo: il mercato è cattivo e lo Stato è buono. La sinistra socialdemocratica si accontenta di più Stato e meno mercato, quella comunista invece vuole solo Stato e niente mercato. La sinistra moderata si accontenta di “ridistribuire le ricchezze”, la sinistra estrema invece vuole che l’economia sia interamente gestita dallo Stato. La sinistra moderata si accontenta di tassare molto i ricchi, la sinistra estrema invece vuole renderli poveri come tutti gli altri. Dunque, fra le due sinistre non ci sono differenze sostanziali. Se quella comunista odia a morte il mercato, quella socialdemocratica lo odia soltanto un po’ meno.

Il mercato non è qualcosa di sovrapposto alla società: è il cuore, il sistema nervoso della società. In esso i cittadini si scambiano incessantemente beni, servizi, forza lavoro ed idee tramite il denaro. Il mercato è lo spazio in cui l’individuo esercita la sua libertà economica mettendo a frutto i suoi talenti. Quindi, odiare il mercato significa odiare la meritocrazia e la libertà (e pure la virtù della responsabilità, che è condizione della libertà). Se dunque la sinistra comunista odia a morte il merito e la libertà, quella socialdemocratica non è che li ama: semplicemente, li odia un po’ meno oppure, se va bene, li ama un pochino. Matteo Renzi è uno di quelli che un pochino riesce ad amarli, il che è già tanto nei tempi socialisti che corrono.

Dopo avere visto il socialismo, vediamo il liberalismo. In estrema sintesi, il liberalismo chiede una sola cosa: che lo Stato non opprima il mercato ossia la società. Secondo la dottrina liberale, lo Stato dovrebbe gestire pochi settori (politico, militare, giudiziario e poco altro), lasciando tutti i servizi di pubblica utilità (da quello sanitario a quello scolastico) ai privati che agiscono sul mercato. Ebbene, lo Stato moderno non si accontenta di rimanere nel suo spazio: tende ad ingrandirsi sempre di più, togliendo sempre più spazio al mercato. Non soltanto gonfia a dismisura il suo apparato burocratico ma pretende di assistere i cittadini dalla culla alla tomba e di erogare servizi essenziali al posto dei privati. (Se qualcuno ha l’impudicizia di sostenere che i servizi forniti dallo Stato sono migliori e più economici di quelli forniti dai privati, a lui l’onere della prova). E quanto più crescono le dimensioni dello Stato, tanto più cresce il potere e la ricchezza dei suoi massimi rappresentati: politici, ministri, dirigenti pubblici, grandi burocrati eccetera.

Insomma, lo Stato moderno si è incamminato da lungo tempo sulla strada del socialismo. Dal XIX secolo ad oggi, l’aliquota fiscale media è cresciuta da meno del 10% a poco meno del 50% in quasi tutti i paesi occidentali. L’aumento prodigioso del carico fiscale, che coincide con l’aumento prodigioso del socialismo, è causato dal peccato. Nello specifico, il socialismo solletica la superbia e l’avidità dei rappresentati dello Stato nonché la pigrizia, l’accidia e l’invidia dei cittadini. Più Stato significa da una parte più potere e più soldi per i rappresentati dello Stato, dall’altra meno responsabilità e più pappa pronta per i cittadini.

(Continua)

P. S.: cliccare qui  per saperne di più sull’illustrazione in alto.

Articoli su Pepe 2006 – 2007

Matrimonio e destino

Pubblicato su Pepe 16, marzo-aprile 2006.

Essere illiberali per salvare il liberalismo

Pubblicato su Pepe 17, maggio-giugno 2006.

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E nacque la massa, la morte del popolo

De sade, l’anticipatore

Pubblicato su Pepe 18, settembre-ottobre 2006.

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Urge nave per mare tempestoso

Pubblicato su Pepe 19, novembre-dicembre 2006.

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Un palazzo di cristallo insanguinato

E l’utopia finì in pornografia

Pubblicato su Pepe 20, marzo 2007.

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Chi odia la ricchezza odia la sua carne

Pubblicato su Pepe 21, estate 2007.

Per un patriot act laico e cattolico dovremmo iniziare a parlare non solo di libertà, ma soprattutto di peccato originale

Pubblicato su Tempi, 22 dicembre 2005.

DURA E APPASSIONATA LETTERA IN DIFESA DELLE LEGGI ANTITERRORISMO CONTRO L’IDEOLOGIA POST-ILLUMINISTA CHE CERCA SOLO NELLE CAUSE SOCIO-ECONOMICHE IL MOTIVO PER CUI L’UOMO è SPINTO A COMPIERE IL MALE. ECCO COSA SUCCEDE A TOLLERARE GLI INTOLLERANTI
Di Jacob Giovanna
in Lettere
22 Dic 2005

Sembra che i cosiddetti “progressisti” siano meno terrorizzati dal terrorismo che dalle misure anti-terrorismo dei governi occidentali. Sia il Patriot Act (introdotto negli Usa nel 2001) che il Pacchetto-Pisanu (introdotto in Italia nel 2004, aggiornato nel luglio 2005) e il Prevention of Terrorism Act (introdotto in Gran Bretagna il 5 agosto 2005) prevedono, seppure in diverse forme, l’arresto o l’espulsione per gli individui pericolosi noti ai servizi segreti e per chiunque commetta il reato di «giustificare o esaltare il terrorismo» (cfr. Repubblica, 10/8/2005). Per il Guardian il Prevention of Terrorism Act è una «manovra avventata» che lede le libertà democratiche, mentre per il liberaldemocratico Robert Kennedy «queste misure rischiano di incidere sull’immagine liberale della Gran Bretagna e di fomentare nuovo odio» (Repubblica, 7/8/2005). Per Marco Rizzo dei Comunisti italiani queste misure «provocano una spirale di odio e di xenofobia, che anziché estirpare il terrorismo, lo alimenta» (Repubblica 6/8/2005). Giudizi analoghi sono stati espressi da quasi tutti gli esponenti dell’Unione. Intanto negli Usa scrittori popolari come John Grisham e Stephen King promuovono una campagna d’opinione e una raccolta di fondi contro le misure del Patriot Act che loro giudicano contrarie alla costituzione degli Usa (Repubblica, 17/8/05).
Perché tanta paura delle leggi antiterrorismo? Semplice: perché contraddicono tutto il pensiero occidentale degli ultimi duecento anni. L’uomo illuminista esilia Dio in un cielo postumo per farsi lui stesso dio. Ad un dio nulla deve essere vietato: “vietato vietare”. A parte rubare e uccidere, ognuno deve essere libero di fare e soprattutto di dire tutto quello che vuole. La libertà infinita dell’uomo è soprattutto libertà d’espressione infinita. Quello che non è lecito in opere è lecito in parole: il satanista non può fare sacrifici umani ma può fare discorsi a favore dei sacrifici umani sul suo blog (nessuna legge glielo vieta); Toni Negri non può fare il terrorista ma può incitare i suoi studenti ad abbracciare il terrorismo rosso (i radicali hanno difeso questo suo diritto); il predicatore islamista non può mettere le bombe in metropolitana ma può suggerire ai suoi ascoltatori l’opportunità di mettercele. Fino a poco tempo fa nessuna legge vietava ad Omar Bakri Mohammed di istigare apertamente i musulmani britannici a fare violenza sui miscredenti britannici che gli pagavano il sussidio settimanale di 340 sterline e lo facevano alloggiare gratuitamente in una casa del valore di 200 mila sterline (Repubblica, 12/8/2005). In quello stesso paese i satanisti hanno appena ottenuto libertà di culto sulle navi della flotta militare.

Materialismo dogmatico
Oltre al liberalismo dogmatico, dietro la libertà d’espressione infinita c’è il materialismo dogmatico. Più precisamente il materialismo dogmatico è una conseguenza del liberalismo dogmatico. In quanto è dio di se stesso, l’uomo deve poter capire tutto di se stesso. Impregnata come è di misteri che affondano nel grande Mistero, l’anima è il punto di se stesso che l’uomo non capisce mai fino in fondo. Per questo l’uomo-dio nega di avere un’anima ovvero la riduce ad una appendice del corpo composta di inconscio e coscienza, entrambi privi di misteri per la scienza neurologica e psicanalitica. Se sta materialmente bene, l’uomo pensa e agisce bene, se sta materialmente male ovvero subisce delle ingiustizie socio-economiche l’uomo pensa e agisce male (notare il paradosso per cui l’uomo emancipato da Dio è un burattino mosso dalla materia). La libertà d’espressione non ha limiti non solo perché la libertà dell’uomo non ha limiti, ma proprio perché tutto quello che un uomo pensa e dice non può ispirare le azioni degli altri uomini. Fra le parole di Omar Bakri e la scelta del terrorista non c’è dunque una relazione di causa-effetto, ma casomai una causa comune: le ingiustizie socio-economiche. Dunque togliere a Bakri la libertà di predicare l’odio non solo è in contrasto col Primo Emendamento della costituzione Usa ma è perfettamente inutile. Invece limitare la libertà del sospetto terrorista è addirittura dannoso. Dal momento che il terrorista è vittima di ingiustizie socio-economiche, persegitarlo con metodi polizieschi significa aggiungere ingiustizia a ingiustizia e così provocare «una spirale di odio e di xenofobia, che anziché estirpare il terrorismo, lo alimenta» (Marco Rizzo). Come hanno scritto su Repubblica, la durezza poliziesca ha come unico effetto quello di «estremizzare e radicalizzare chi è ancora in una zona grigia» (Repubblica, 6/8/2005). In conclusione, per estirpare il terrorismo non bisogna limitare la libertà d’espressione dei predicatori dell’odio né perseguitare i terroristi, bensì estirpare le ingiustizie socio-economiche che generano allo stesso tempo il terrorismo e la sua propaganda. E queste ingiustizie chi le produce? Ma ovviamente l’Occidente capitalista e imperialista!

Blair contro i musulmani
Ad agosto Abu Qatada è stato arrestato dalla polizia britannica perché si era espresso a favore della guerra santa contro la Gran Bretagna. Yasser al-Serri, direttore dell’Osservatorio islamico di Londra, ha commentato: «È in atto una campagna arbitraria orchestrata dal governo Blair contro gli arabi e i musulmani» (Repubblica, 12/8/2005). Come stupirsi se alcuni di essi, in preda all’esasperazione, terroristi lo diventano per davvero? Per fortuna in Italia abbiamo dei magistrati intelligenti che rilasciano i sospetti terroristi cinque minuti dopo il loro arresto. In effetti l’etiope Issac Hamdi, catturato a Roma, dice di avere fatto esplodere lo zaino tra le stazioni del metro di Sheperd’s Bush e Westbourne Park a Londra il 21 luglio perché «dopo gli attentati del 7 luglio gli islamici di Londra sono stati insultati e repressi». Negli incontri cui partecipava nella moschea di Brixton e in una palestra di Notting Hill si facevano «soprattutto analisi della situazione politica e del fatto che ovunque in Occidente i musulmani sono oggetto di vessazioni. E che quindi devono reagire» (Repubblica, 31/7/2005).

Tutta colpa della fede
Dal punto di vista illuminista per sconfiggere il terrorismo bisogna prima eliminare le ingiustizie socio-economiche che lo generano. Gli Stati canaglia che armano i terroristi andrebbero messi al riparo dalle ingiustizie della globalizzazione economica, gli emarginati che mettono le bombe in metropolitana andrebbero integrati nella società occidentale. Tutte le fedi religiose assunte in modica quantità fanno bene, in quantità appena superiori fanno male alla salute mentale. Essere occidentali significa ridurre la fede ad un sentimento moderato (utile analgesico contro il terrore della morte) e fare del benessere e del divertimento lo scopo della vita. Essere occidentali significa vivere in pace con tutti, perché chi si diverte non ha voglia di fare la guerra: “fate l’amore e non la guerra”. È la religione presa troppo sul serio che ispira le guerre.
Secondo la cultura moderna post-illuminista, il terrorismo nasce dalla povertà e dall’emarginazione. La realtà è ben diversa: i terroristi sono tutto fuorché poveri-emarginati, vittime dell’Occidente. I diciannove kamikaze dell’11 settembre avevano frequentato le migliori università occidentali e facevano su e giù per gli Stati Uniti col portafoglio pieno di carte di credito. L’assassino del regista Theo Van Gogh era uno studente modello, esaltava in un perfetto olandese le meraviglie del multiculturalismo su di un giornaletto di provincia e fumava le droghe leggere come i suoi coetanei olandesi (Il Foglio, 29/10/2005). Prima di dedicarsi alla guerra santa, l’etiope Issac Hamdi si interessava soltanto di rap afro-americano, di musica hip hop e di ragazze, che a quanto pare avevano un debole per lui. Passava tutti i pomeriggi sul “muretto” di piazzale Flaminio a Roma, dove incontrava ragazzi italiani ma anche «francesi e americani, studenti dello Chateaubriand, del Saint Dominique e dell’Overseas. più di cento persone, senza traccia di razzismo» (Repubblica, 1/8/2005). Alla faccia della mancata integrazione. La maggior parte dei volontari della guerra santa partiti per l’Irak e l’Afghanistan dai paesi dell’Unione Europea (sono centinaia) sono nati e cresciuti in Europa all’interno di famiglie di immigrati benestanti e integrati. L’estremismo islamico attrae pure occidentali figli di occidentali: vedi il “talebano” Johnny Walker, il cecchino di Washington e il siciliano Domenico Quaranta (autore di un fallito attentato al tempio della Concordia in Sicilia e di una fallita strage alla stazione metropolitana del Duomo a Milano). Ad essi bisogna aggiungere un numero imprecisato di “cellule dagli occhi azzurri” reclutate da Al Qaeda.

L’uomo non è solo corpo
La realtà ci dice che non basta dare al giovane musulmano benessere e divertimento per renderlo immune alla seduzione del terrorismo. Per una ragione semplicissima: perché l’uomo non è solo corpo. Non è vero che l’anima è una appendice del corpo. Non è vero che pensieri e azioni sono “sovrastruttura” delle condizioni materiali di un uomo. Non è vero, in altri termini, che l’uomo è un pezzo di materia mosso dalla materia che lo circonda. È l’anima che muove il corpo e modifica la realtà materiale, non viceversa. Non è nel corpo ma è nell’anima che si originano il crimine e il terrorismo. In termini più semplici, il crimine e il terrorismo sono oggetto di una libera scelta.
È la volontà l’unica causa delle azioni dell’uomo. La volontà è soprattutto capacità di scelta fra il bene e il male. L’uomo sceglie il male non perché ha dei problemi socio-economici, ma perché prova piacere nel fare il male. Dietro il gusto del male non c’è una ragione materiale ma una ragione spirituale: il peccato originale. Dall’esistenza del male nel mondo possiamo logicamente dedurre l’esistenza del peccato originale come sua causa nascosta che sfugge alla indagine dei sensi. Invece i post-illuministi trovano che il peccato originale sia solo una superstizione cattolica e che il male possa essere estirpato con gli strumenti della scienza. Chissà come si sono sentiti quando la scienza ha fornito qualche argomento a favore della superstizione cattolica. Difficilmente tutti gli uomini sarebbero disposti a non fare il male che vorrebbero senza la minaccia di una punizione. È assurdo affermare che la lotta al terrorismo incoraggia il terrorismo tendendo ad «estremizzare e radicalizzare chi è ancora in una zona grigia» (Repubblica, 6/8/2005).

Il “rap del terrorismo”
In realtà le leggi anti-terrorismo non fanno aumentare il terrorismo per la stessa ragione per cui le leggi contro l’omicidio non fanno aumentare gli omicidi. L’uomo è libero di scegliere fra il bene e il male. Questa scelta è ultimamente insondabile ovvero non ha nessuna causa esterna alla volontà. Tuttavia le cause esterne possono in qualche misura interferire in questa scelta. L’uomo non è un corpo animato ma un’anima rivestita di corpo. Dal momento che la componente spirituale dell’uomo è preponderante rispetto alla componente materiale, i fattori di carattere materiale possono interferire nelle sue scelte molto meno dei fattori di carattere, per così dire, spirituale. In questa seconda categoria rientrano tutte le forme di espressione del pensiero: parole, libri, arte, spettacoli eccetera. Non è vero, come afferma la cultura moderna, che le parole non hanno effetti sulla realtà materiale. In quanto sono espressione della parte spirituale dell’uomo, le parole possono modificare la realtà materiale molto più profondamente di qualunque mezzo puramente materiale. Le parole di un solo uomo possono indurre un numero illimitato di uomini a compiere delle azioni determinate, buone o cattive che siano. A causa del peccato originale, è più facile indurre gli uomini a compiere azioni cattive che non azioni buone. Non è possibile propagandare il male a parole senza produrre il male nella realtà. Le parole di Hitler hanno prodotto i lager, le parole di Marx hanno prodotto i gulag. Alcune registrazioni delle prediche di Omar Bakri Mohammed sono state trovate ad Amburgo nell’abitazione di Mohammed Atta, capo kamikaze dell’11 settembre. Solo una coincidenza? Per non peggiorare la sua posizione, Omar Bakri Mohammed nega di avere mai avuto contatti con l’organizzazione di Osama bin Laden (Repubblica, 12/8/2005). In realtà Bakri andrebbe considerato affiliato di Al Qaeda per il solo fatto che da più di dieci anni istiga i giovani ad emulare le gesta di Osama bin Laden (Repubblica, 11/7/2002). I terroristi che usano le parole uccidono più dei terroristi che usano le armi. I terroristi che usano le parole sono i mandanti dei terroristi in armi. L’incontro organizzato da Bakri sui “magnifici diciannove” dell’11 settembre è stato un atto di terrorismo pari a quello perpetrato dai suddetti diciannove.
Poco tempo fa nelle moschee inglesi andava a ruba il cd del “rap del terrorismo”: «Pace ad Hamas e agli Hezbollah / Osama Bin Laden mi ha fatto scintillar come una stella / quando abbiamo distrutto le due torri ha-ha-ha (risata) / premier Tony Blair piglia questa sporco miscredente/ mister Bush piglia questa sporco miscredente/ gettiamoli nel fuoco ha-ha-ha (risata)» (Repubblica, 9/2/04). Nell’Iqra Learning Center bookstore di Leeds si vendono ancora dei libri e dei videogames con a tema la “soluzione finale” del problema degli infedeli che infestano il pianeta (Repubblica, 25/7/05). Gli effetti pratici della conferenza di Bakri, del rap del terrorismo e dei videogiochi di Leeds li abbiamo visti a Londra il 7 e il 21 luglio 2005.

Ammonimenti olandesi
Non ci sono più dubbi: la causa efficiente del terrorismo è la propaganda terrorista. Perché i politici e gli intellettuali, tranne rare eccezioni, considerano la propaganda terrorista alla stregua di un fenomeno folkloristico? Perché non sono state ancora introdotte delle misure contro la proliferazione delle scuole dell’odio, che solo in Italia sono raddoppiate dal 2001 ad oggi (Repubblica, 4/8/2005)? La risposta è semplice: perché colpire le scuole dell’odio e punire tutte le forme di propaganda o apologia del terrorismo significa rimettere in discussione il dogma della libertà d’espressione infinita e, con esso, l’utopia della libertà infinita dell’uomo-dio. Tuttavia la libertà d’espressione sta morendo proprio per un eccesso di libertà d’espressione, la tolleranza sta morendo proprio per un eccesso di tolleranza. Prendiamo l’Olanda, il paese che ha fatto della tolleranza il suo marchio di fabbrica. La stessa totale libertà d’espressione che l’Olanda concedeva un tempo ad autori proibiti in patria come Hobbes, Cartesio e Spinoza oggi la concede agli intolleranti (d’altra parte è da dimostrare che le idee dei suddetti autori non siano la radice ultima di quel nichilismo senile che sta distruggendo la civiltà occidentale dal suo interno). Ebbene gli intolleranti hanno usato la libertà d’espressione per educare all’odio e alla violenza migliaia di giovani olandesi. Uno di essi ha ucciso Theo Van Gogh il 2 novembre 2004, gli altri sputano sulla piccola lapide che il municipio ha dedicato alla memoria del regista scomparso. Gli intolleranti hanno spinto una intera generazione a ripudiare il comandamento “non uccidere” (frase scritta sulla lapide di Van Gogh). Col risultato che adesso in Olanda non è più possibile esprimere liberamente delle opinioni contrarie a quelle degli intolleranti senza rischiare la vita (i politici e gli intellettuali olandesi minacciati di morte sono già una decina). Ecco che cosa succede a tollerare gli intolleranti.

L’educazione ha bisogno della punizione secondo la legge, il grande pedagogo di San Paolo

Pubblicato su Tempi, 15 dicembre 2005.

«Chiamare ladri e incendiari “povere vittime” è una pericolosa scemenza». «Le cause dei crimini nazisti non sono sociologiche, economiche eccetera, sono le idee di Hitler». «Le idee malvagie esistono e dovrebbe essere vietato propagandarle». «Non c’è niente di peggio che la “pauperocrazia”, questa mentalità tirannica per cui i poveri hanno sempre ragione». Lettera di accompagnamento (e postilla mostruosa) a un articolo che leggerete la prossima settimana
Di Jacob Giovanna
in Lettere
15 Dic 2005

Caro direttore, nelle scorse settimane di chiacchiere sociologiche sul degrado delle periferie francesi ne abbiamo sentite fin troppe. Colgo l’occasione per presentare la terza e ultima puntata della mia personale polemica contro la sociologia intesa come pensiero unico dominante. Nella prima parte riassumo (con sarcasmo) le interpretazioni sociologiche del terrorismo, nella seconda parte le confuto sul piano dei fatti. Alla rivolta delle banlieue accenno solo di sfuggita, visto che i casseurs non urlavano «Allah u akbar». Tuttavia i casseurs sono tutto fuorché dei poveri oppressi dal capitale. Più che pane e lavoro, essi chiedono motociclette di lusso e scarpe di marca. Molti di loro il lavoro non ce l’hanno semplicemente perché non lo cercano, preferiscono tenersi il sussidio di disoccupazione e guadagnare dei sostanziosi extra col furto e lo spaccio (questo hanno confessato alcuni ragazzi della banlieue all’architetto Fuksas). I contribuenti francesi pagano il sussidio di disoccupazione a quelli che gli bruciano le macchine. I francesi sono dei dhimmi che pagano la “tassa di protezione”. Tuttavia mi sono permessa un accenno sarcastico ai franco-maghrebini che pestano a sangue gli ebrei per “disperazione sociale”, come hanno scritto su Repubblica. Come è scritto nell’editoriale di Tempi del 10 novembre, lo stato di tipo giacobino disgrega i gruppi sociali intermedi al fine di regnare su degli individui atomizzati che mirano soltanto all’accrescimento del proprio benessere (già Tocqueville temeva qualche cosa di simile). In effetti è vero che i casseurs hanno gli stessi desideri degli altri cittadini atomizzati dello Stato giacobino, ma non per questo si sentono meno musulmani.
Nelle banlieu e le moschee e i centri culturali islamici si moltiplicano come funghi. In paesi di tradizione multiculturale come l’Olanda e la Gran Bretagna le cose vanno anche peggio. Perché i giornali e le televisioni hanno oscurato la notizia delle rivolte scoppiate in Danimarca negli stessi giorni in cui bruciavano le periferie francesi?
Come è scritto nell’editoriale di Tempi del 17 novembre, per impedire l’imbarbarimento della società bisogna investire sull’educazione dei giovani. Però facciamo fuori ogni equivoco rousseauista. Come non è vero che è la società a rendere cattivo l’uomo, così non è vero che è la mancanza di educazione a renderlo cattivo. L’uomo è cattivo sia perché nasce cattivo (peccato originale) sia perché sceglie di esserlo (libero arbitrio). L’educazione al bene non impedisce ad un uomo di scegliere il male. Fidel Castro ha ricevuto la migliore educazione dai gesuiti ma è diventato lo stesso Fidel Castro. Purtroppo Finkielkraut è il solo a dire questa semplice verità: «non si può integrare l’odio». Aggiungo io: non siamo noi che dobbiamo “integrare” gli stranieri ma sono gli stranieri che devono integrarsi nella nostra società, e per integrarsi devono volerlo. Chi non vuole integrarsi non può integrarsi: anche in questo caso il libero arbitrio è il fattore decisivo.
Ciò detto, l’educazione ha un peso enorme. Una cattiva educazione incoraggia l’esercizio del peccato mentre una buona educazione incoraggia l’esercizio della virtù (quanto suonano demodé parole come virtù, vizio, bontà, cattiveria, malvagità, peccato!). Poiché ha il peccato originale, è più facile indurre un uomo a fare il male che non il bene. La tesi che sostengo in questo articolo è che la causa efficiente del terrorismo è la “educazione al terrorismo” impartita dai predicatori estremisti. A parte Magdi Allam, nessun politico o intellettuale pensa che sarebbe opportuno impedire la proliferazione delle scuole dell’odio in tutta Europa. Cosa c’è dietro tanta indifferenza verso la mala educaciòn al terrorismo? In primo luogo c’è il materialismo marxista: l’educazione e in genere tutte le forme di espressione del pensiero sono solo “sovrastruttura” delle condizioni socio-economiche e quindi non influiscono sui comportamenti umani. In secondo luogo c’è il liberalismo dogmatico: il predicatore estremista può dire quello che vuole perché la libertà d’espressione è un valore assoluto. Secondo i radicali Toni Negri aveva tutto il “diritto” di fare l’apologia del terrorismo rosso. In fondo tutti la pensano più o meno come i radicali. Voltaire diceva: «Non approvo le tue idee ma darei la vita perché tu possa esprimerle». In realtà una cosa sono delle idee che noi personalmente non approviamo, altra cosa sono delle idee oggettivamente malvagie che ispirano degli atti malvagi. Lo so: in era di relativismo morale nessuno pensa che esistano delle idee oggettivamente malvagie. Ma noi che non siamo relativisti sappiamo che il male esiste (che parola demodé!), che le idee cattive esistono e che dovrebbe essere vietato propagandarle. Non si può più consentire a nessuno di dire impunemente che gli ebrei andrebbero bruciati nei forni. No, questa non è un’opinione come un’altra, è istigazione alla violenza. Nessuno ha ancora capito che istigare gli uomini alla violenza significa produrre la violenza nella realtà. Le idee malvagie si trasformano in atti malvagi. Le idee malvagie di Hitler si sono trasformate in campi di sterminio. La causa efficiente dei crimini nazisti sono state le idee di Hitler, le idee di Hitler sono state inculcate al popolo tedesco per mezzo di una propaganda capillare e martellante. Invece sui nostri libri scolastici si legge ancora che la casa efficiente del nazismo è stata la grave crisi monetaria provocata dai debiti di guerra e dal crollo finanziario del ’29.
Purtroppo per liberarci degli schemi marxisti, che riferiscono ogni fenomeno spirituale al dato economico, ci metteremo ancora decenni, tanto profondamente sono penetrati nell’inconscio collettivo. Per fare rinascere la consapevolezza del bene e del male ci metteremo ancora di più. Oggi degli assassini non si dice che sono “cattivi” ma che sono “folli”. Se usi le parole “bene” e “male” ti dicono che sei un “manicheo”. Insomma il tema dell’articolo è complesso, forse troppo complesso per un articolo.

P. S. Ma a Davide Rondoni nessuno gli tira mai le orecchie? Su Tempi del 17 novembre Rondoni accusa Cofferati di dare troppa importanza alla legalità e di dimenticare che «la società più umana si edifica investendo sui desideri e sull’educazione e non sulle manette». Cofferati è sicuramente uno sfessato, ma la legalità non è una fesseria. Cofferati ha fatto benissimo a mandare le ruspe a demolire le baracche dei rom e dei romeni. Primo perché in un paese civile non si può consentire la proliferazione delle bidonville; secondo perché i baraccati non sono poi tanto poveri, visto che da anni si fanno mantenere dalla Caritas e i loro bambini, invece che a scuola, li mandano a rubare. La vera povertà non è abitare in una baracca ma subire delle prepotenze. I veri poveri sono i bolognesi, costretti a subire furti, scippi e aggressioni dai poveri-stranieri-emarginati che bighellonano per il centro cittadino fra un pasto gratuito alla Caritas e l’altro. Povere sono le ragazzine violentate sotto gli occhi dei fidanzati da poveri-stranieri-emarginati . Poveri sono gli abitanti del Colle Oppio a Roma, costretti a subire mille angherie dai poveri-stranieri-emarginati protetti dalla Caritas di via delle Sette Sale, dai pakistani e dai cinesi che, con le intimidazioni mafiose, si stanno accaparrando tutti i negozi e gli appartamenti della zona. Poveri sono i vecchi imprenditori lombardi, che vengono picchiati a sangue e derubati dei risparmi di una vita da bande di delinquenti col kalashnikov. Per Repubblica quelli che entrano nelle villette e nelle sacrestie del bresciano a fare Arancia Meccanica non sono delinquenti ma «disperati» (Repubblica, 21/11/05). I veri poveri sono gli abitanti della periferia di Milano, costretti ad essere derubati dai nomadi senza fiatare, visto che i nomadi sembrano godere di una sorta di immunità zingaresca permanente (altroché immunità parlamentare!). Mentre i proventi dei furti e delle elemosine i rom li mettono da parte per costruirsi delle ville hollywoodiane lungo la tangenziale milanese, il Comune costruisce per loro, con i soldi dei cittadini derubati, dei campi di permanenza dotati di tutti i comfort.
Insomma i veri poveri sono i cittadini normali, derubati sia dai poveri-stranieri-emarginati che dallo Stato-Leviatano. Coi soldi dei cittadini onesti il Leviatano ci mantiene delle mandrie bovine di burocrati e impiegati nullafacenti, di magistrati che rilasciano i terroristi nello stesso istante in cui vengono arrestati, di poliziotti che non hanno nessuna voglia di fare lo sforzo di proteggerci dalla violenza spicciola dei “nuovi italiani”. I “nuovi italiani” stanno aprendo una miriade di nuove imprese e stanno occupando tutto il circuito della piccola distribuzione perché, a differenza di noi sudditi del Leviatano, godono di mille agevolazioni fiscali per l’apertura degli esercizi commerciali e delle imprese economiche. Noi le imprese e gli esercizi non le apriamo non solo perché siamo strozzati dal fisco e dalla burocrazia, ma perché abbiamo perso ogni capacità di iniziativa, di rischio e di sacrificio.
Siamo degli eterni bambini della Val Susa il cui unico desiderio è quello di giocare, divertirsi, essere lasciati in pace. A trasformarci in eterni bambini è stato il Leviatano, che ci assiste dalla culla alla tomba con i soldi che ci toglie (il paradosso dello Stato assistenziale è proprio questo: toglie il sangue ai cittadini poi usa quello stesso sangue per curare la loro anemia). Con i soldi che avanzano dal pagamento delle tasse, noi bambini non costruiamo opere ma ci andiamo in discoteca e in vacanza, rigorosamente senza figli perché i figli rompono. Quando poi ci è passata la voglia di andare in discoteca e in vacanza perché cominciamo ad essere vecchi, allora per riempire i vuoti della vita chiediamo dei figli alla provetta. Con o senza provetta di figli ne facciamo pochissimi non solo perché non siamo più capaci di sacrifici, ma perché fare figli oggi costa dei sacrifici molto più che eroici alle donne, costrette a conciliare fra lavoro e casa senza nessun aiuto da parte degli uomini. Non è che, se il Leviatano la piantasse di rapinarci il quaranta per cento dello stipendio, per mandare avanti una famiglia non ci sarebbe bisogno di due stipendi e così le donne avrebbero più tempo per i figli? Comunque sia facciamo sempre meno figli ma pretendiamo lo stesso delle pensioni sempre più laute. Ed ecco l’idea geniale: la pensione facciamocela pagare dai figli degli immigrati! Faccio un pronostico: entro qualche decennio noi saremo una massa di vecchietti sottoposti a mille violenze dai figli degli stranieri protetti dal Leviatano e dalla Caritas. Non è escluso che i vecchietti occidentali verranno tutti lasciati morire di fame da giovani stranieri che non avranno nessuna intenzione di pagare loro la pensione. La storia si ripete: i romani chiesero ai barbari di coprire i costi dell’impero in dissoluzione (in primis arruolandoli nell’esercito) e sappiamo come andò a finire.
Per tornare all’alternativa fra le manette e l’educazione, io scelgo le manette. Più precisamente, le manette sono la prima forma di educazione. San Paolo chiamava la legge ‘il grande pedagogo’. Non c’è educazione senza punizione. Per educare alla legalità una massa di barbari violenti non c’è che un metodo: punirli per i loro peccati. Che espressione demodé! Ma Cristo, che non era alla moda neppure ai suoi tempi, ha detto proprio questo: se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavatelo, è meglio per te.
Quando i barbari hanno finito di espiare i loro peccati, allora e solo allora gli mando Rondoni e Vittadini ad educare il loro io al senso religioso. L’educazione senza la punizione è indistinguibile dalla diseducazione. Se le mie malefatte non le pago, mi sento autorizzato a farne delle altre. Non è vero quello che diceva Socrate, e cioè che basta fare conoscere ad un uomo il bene per convincerlo a fare il bene. Socrate non sapeva nulla del peccato originale, Rondoni invece dovrebbe saperne qualche cosa. A sua volta la “solidarietà” senza l’educazione e la punizione è peggio della diseducazione: è istigazione al vizio (che parola demodé!). Se infatti la Caritas mi dà il cibo e i vestiti gratis vita natural durante, se arrotondo con le elemosine e i furti, chi me lo fa fare di stancarmi facendo un lavoro serio? Occorre che qualcuno mi educhi ad amare il lavoro, qualunque lavoro, e che mi punisca se non ho voglia di lavorare. Invece i preti rossi della Caritas sotto sotto sono convinti che i loro “poveri” non commettono peccato se derubano i cittadini già derubati dallo Stato. Infatti agli occhi dei preti rossi i cittadini che pagano le tasse sono dei ricchi-egoisti che rubano ai poveri, i quali dunque hanno il diritto di riprendersi ciò che è loro. In fondo la teologia dei preti rossi della Caritas e dei monaci rossi di Assisi (era ora che il Papa li richiamasse all’ordine!) è questa: i poveri non hanno peccato né attuale né originale. Ed eccoci alla più satanica delle idolatrie: idolatria dei poveri e della povertà. Ed eccoci alla dittatura dei “poveri”, che nella nostra società sono autorizzati a compiere ogni sorta di violenze senza pagare il conto. La dittatura dei poveri o, come la chiamo io, la ‘pauperocrazia’ è soprattutto una dittatura mentale, una mentalità che ci è stato inculcata con metodi orwelliani. Impregnati come siamo di questa mentalità, chiunque rivendichi il diritto di non subire violenze da parte degli stranieri (che per inciso costituiscono l’ottanta per cento della popolazione carceraria) ci appare come un piccolo borghese egoista e retrogrado, incapace di adeguarsi ai cambiamenti della società. Probabilmente anche il direttore di Tempi ha pensato questo della sua collaboratrice mentre leggeva questa sua lettera. Se non l’ha pensato gliene rendo merito. Ma lo ripeto lo stesso: la legalità è una cosa seria. Senza legalità non c’è libertà. «Randy Barnett, nel suo lavoro del 1998 La struttura della libertà per definire la Libertà utilizza un’immagine: due grattacieli. Le Sears Towers di Chicago. La Libertà consente a migliaia di persone di ritrovarsi in quel luogo, ma secondo le regole architettoniche che lo governano: corridoi, intercapedini, scale, ascensori, cartelli, luci. Perché ognuno possa godere della propria libertà senza intralciare quella altrui» (C. Bonini, “Diritti & sicurezza”, Repubblica, 13/12/04). La civiltà occidentale ha prodotto cattedrali e grattacieli. Ebbene senza la legalità non abbiamo i grattacieli ma le bidonville lungo il fiume Reno.
Giovanna Jacob
Merci Mrs. Jacob. Adesso tiriamo il fiato. Settimana prossima altre due pagine di legnate.
(LA)

Sartre: l’ipocondriaco nauseabondo

Pubblicato su Tempi, 3 agosto 2005

«LA MIA FILOSOFIA è UNO SFORZO PER DEDURRE TUTTE LE CONSEGUENZE DA UNA POSIZIONE ATEA COERENTE». A VENTICINQUE ANNI DALLA SUA MORTE, COSA RIMANE? POCO DEL SUO FRIABILE PENSIERO, MA MOLTO DEL SUO LOGO DI INTELLETTUALE VAGABONDO E GLAMOUR CHE PIACE AI CINEASTI E MAITRES à PENSER NOSTRANI
Di Jacob Giovanna
in Cultura
03 Ago 2005

Jean Paul Sartre è morto venticinque anni fa (il 15 aprile 1980) ma il suo fantasma è ancora vivo. Sebbene il suo pensiero sia irrimediabilmente passato di moda negli ambienti intellettuali, è certo che le singole idee di Sartre sono diventate patrimonio di quella che si chiama la cultura dominante. La filosofia di Sartre fonde, sulla base della fenomenologia di Heidegger, le principali correnti di pensiero della modernità post-illuminista: il marxismo, la psicanalisi freudiana e la componente più permissiva del pensiero liberale (quella già condannata da Pio IX col Sillabo). Il denominatore comune di queste correnti di pensiero è l’ateismo. In effetti la filosofia di Sartre è, nelle sue stesse parole, «uno sforzo per dedurre tutte le conseguenze da una posizione atea coerente».

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Alla base del pensiero di Sartre c’è l’idea della totale incompatibilità fra la libertà dell’uomo e la libertà di Dio. Se Dio esistesse, dice Sartre, l’uomo potrebbe scegliere solo fra l’accettazione o il rifiuto di Dio come unico scopo esauriente della sua vita, e quindi non sarebbe veramente libero. Infatti la vera libertà consiste, secondo Sartre, nel potere scegliere noi stessi lo scopo per cui vivere. L’Infinito, se esiste, impedisce alla libertà di essere infinita. C’è pure dell’altro. Dal momento in cui comincia ad essere fabbricato, un tagliacarte è esattamente come il fabbricante l’ha pensato. Similmente, dice Sartre, nella concezione cristiana «l’uomo individuale incarna un certo concetto che è nell’intelletto di Dio». Ebbene Sartre è convinto che, se si conformasse ad un “concetto” o “essenza” pensata da Dio (sia come insieme delle caratteristiche della specie uomo sia come insieme delle caratteristiche uniche e irripetibili di un individuo) l’uomo non sarebbe veramente libero, perché libertà significa anche libertà di essere ciò che si vuole. L’uomo «non è nient’altro che quello che progetta d’essere; egli non esiste che nella misura in cui si realizza; non è, dunque, nient’altro che l’insieme dei suoi atti, nient’altro che la sua vita» (L’esistenzialismo è un umanismo).

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Per Sartre l’uomo è «quello che progetta d’essere» nel senso che il suo essere uno scrittore famoso o non esserlo, il suo essere un uomo sposato oppure un uomo celibe, il suo essere coraggioso oppure vile, è esito di una sua scelta. Non poteva immaginare che con i progressi della tecnica l’uomo avrebbe potuto scegliersi, oltre alla professione e allo stato civile, anche la forma del naso o il sesso. D’altra parte, se è vero che «non vi è una natura umana, poiché non v’è un Dio che la concepisca» (Sartre, op. cit.), non sono più possibili distinzioni non solo fra ciò che è secondo o contro natura, ma anche fra naturale e artificiale. Come dice il transessuale reduce da numerosi interventi di chirurgia estetica nel film di Almodovar “Tutto su mia madre”: «Una è più autentica, quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stessa». Scrive Fernando de Haro a questo proposito: «L’unica identità che vale sarebbe quella che possiamo costruire con la nostra volontà. (.) In questo inizio del secolo XXI, l’ideologia del genere – molti non la conoscono ma hanno assunto i suoi postulati – teorizza che non ci sono sessi e che le fisionomia differenziate sono un prodotto culturale. Ogni persona quindi, attraverso scelte successive, si ascrive a uno dei numerosi generi (omosessuale, bisessuale, eterosessale. la lista è sempre aperta)» (Tracce, luglio-agosto 2005).
Sacerdote di questa nuova ideologia, Mario Vargas Llosa afferma tranquillamente che dietro gli argomenti contro il matrimonio omosessuale e l’adozione da parte di coppie gay «non ci sono ragioni, solo inveterati pregiudizi, una ripugnanza istintiva verso chi ama in un modo che secoli di ignoranza, stupidità, oscurantismo dogmatico e fantasmi inconsci hanno demonizzato definendolo “anormale”. In realtà la scienza – la biologia, l’antropologia, la psicologia, la storia, soprattutto – ha da tempo stabilito che parlare di “anormalità” in campo sessuale è rischioso e fuorviante. Salvo casi estremi, là dove si sconfina nel crimine, e che non si possono assolutamente identificare con una precisa opzione sessuale, l’universo sessuale è variegato, una costellazione di vocazioni e predisposizioni che oltrepassano la demarcazione fra eterosessualità e omosessualità. Così come capita in tanti altri campi della personalità individuale quando si parla di attitudini, di preferenze, gusti, incompatibilità, caratteristiche fisiche e intellettuali, ecc.» (Mario Vargas Llosa, “Liberali questi socialisti”, La Stampa, 1/7/05). Non stupiamoci se anche i pedofili cominciano a pensare che dietro il divieto del rapporto-adulto bambino non ci siano ragioni ma solo inveterati pregiudizi, ignoranza, stupidità, oscurantismo dogmatico e fantasmi inconsci (ne riparleremo).

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I greci e i romani pensavano che esistesse una natura umana e pure una legge naturale, ovvero un insieme di norme morali scritte nel cuore dell’uomo dalla natura. Quella che i greci chiamavano natura ha molto a che fare con quello che i credenti chiamano Dio, visto che le norme della legge naturale coincidono largamente con le norme che, secondo la Bibbia, fu Dio stesso a scrivere sulle tavole della Legge. La legge naturale si può riassumere in un solo concetto molto semplice: è vietato fare male a se stessi e agli altri esseri umani. Il Vangelo aggiunge soltanto che, oltre a non fare il male, bisogna pure fare il bene di se stessi e degli altri amando Dio sopra ogni cosa. Secondo la legge naturale dedicarsi a pratiche contro natura è fare del male a se stessi e agli altri. Secondo la legge naturale uccidere un uomo quando è adulto oppure ucciderlo quando è ancora un embrione o un monozigote è la stessa cosa. Per questo, con buona pace di Vargas Llosa, i greci e i romani antichi avrebbero sicuramente votato a larghissima maggioranza contro il matrimonio gay e pure contro l’aborto e la ricerca sulle cellule staminali (lo ha sostenuto, citando numerosi documenti, la storica Marta Sordi su Avvenire del 29 giugno 2005).
Anche all’atea Oriana Fallaci non vanno a genio l’aborto, il matrimonio gay e le tecniche che mirano a fare dell’uomo «un prodotto di sé stesso, della eugenetica mengeliana, della bioetica frankensteiniana». Da atea sente di stare dalla parte di Ratzinger, che pure parlando «in chiave religiosa, da filosofo anzi da teologo che non prescinde dalla sua fede nel Dio Creatore» in ogni caso «difende la Natura» (Corriere della sera, 3/6/2005). «Mi sento meno sola quando leggo i libri di Ratzinger. (.) Io sono atea, e se un’atea e un Papa pensano la stessa cosa ci deve essere qualcosa di vero. È semplicissimo! Qui ci deve essere qualche verità umana che va al di là della religione» (intervista al Wall Street Journal). Ebbene Jean Paul Sartre e i suoi discendenti non possono che rifiutare come un ostacolo alla libertà totale questa verità umana che va al di là della religione. Come non esiste una natura umana, così non esiste una legge naturale. Non esistono un bene e un male, non esistono dei valori universali, esiste solo la libertà che di volta in volta decide che cosa è bene e che cosa è male, che si sceglie i suoi valori e li supera in continuazione come il super-uomo di Nietzsche.

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Tuttavia Sartre sta bene attento a non usare mai il linguaggio di Nietzsche. Per Sartre l’uomo deve continuamente superare i valori non per una sua infinita autoaffermazione, ma per fare delle scelte adeguate alle diverse circostanze. Sartre argomenta: né i valori di Cristo né quelli di Kant possono fornire una direttiva alle mie scelte, perché le circostanze concrete in cui mi trovo a scegliere sono sempre, inevitabilmente troppo complesse e contraddittorie per agire rispettando quei valori immutabili. Sartre fa l’esempio di un ragazzo che, durante la guerra, deve scegliere se rimanere a casa con la madre, ad accudirla e confortarla, oppure unirsi agli Alleati per liberare la Francia dall’occupazione nazista: in entrambi i casi, secondo Sartre, egli viene meno al principio della carità, perché se va a combattere manca di carità verso la madre, se invece sta con la madre manca di carità verso un gran numero di suoi connazionali cui egli potrebbe salvare la vita combattendo in loro difesa. Quindi l’unica soluzione è che l’uomo decida da solo, assumendosene la piena responsabilità, i valori in base ai quali conformare le sue azioni di volta in volta. Ora questa argomentazione sembra piuttosto debole: l’infinita varietà delle circostanze non implica necessariamente l’infinita varietà dei valori.
Il problema non è trovare o inventare un diverso valore per ogni diversa circostanza, ma adattare alle diverse circostanze, sia pure al prezzo di strazianti dilemmi interiori, dei valori e dei principi universali, primo fra tutti quello secondo cui l’uomo non è mezzo ma fine delle azioni. Oltretutto per chi crede in Dio i dilemmi ad un certo punto vengono meno: il ragazzo dell’esempio non verrà meno al principio di carità nella misura in cui, fra le due, sceglierà l’opzione che egli sente rispondere alla volontà di Dio su di lui, non ad un suo calcolo egoistico mascherato di carità. Nonostante sia facilmente confutabile, questa argomentazione di Sartre gode tuttora di enorme prestigio. Essa è alla base di quello che oggi si chiama il relativismo culturale. Eugenio Scalfari ci tiene a sottolineare che «il relativismo non è nichilismo, al contrario. Il relativismo comporta un impegno continuo e responsabile sulle verità morali di volta in volta valide nell’epoca e nel luogo. Verità assolute nell’epoca e nel luogo, ma variabili secondo i mutamenti d’epoca e di luogo. Nulla meno di questo ma anche nulla di più» (E. Scalfari, “La fede dei laici contro i nichilisti”, Repubblica, 2/1/05).
E se in una diversa epoca e in un diverso luogo l’uomo non è più fine ma mezzo delle azioni altrui, potremmo ritenerlo accettabile? Io no, Paolo Flores D’Arcais e Umberto Galimberti invece sì. D’Arcais lo abbiamo colto in castagna ad assolvere le mutilazioni genitali: «Consideriamo tutti un male le mutilazioni genitali: ma le madri di quelle bambine ritengono che sia giusto farle. La loro ragione non è abbastanza “illuminata”, è “imperfetta”? Ma chi decide sulla perfezione di ogni ragione individuale? Su quale lista prestabilita di verità?». (Repubblica, 22 giugno 2005). Galimberti lo abbiamo colto in castagna ad assolvere la poligamia in nome della tolleranza, che consiste nella «capacità. di ipotizzare che l’altro abbia un tasso di verità superiore al mio, a cui io non riesco ad accedere» (D la repubblica delle donne, 31 maggio 2005).

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In fondo il relativismo di Sartre e di Scalfari non è veramente relativista, perché al soggetto riconosce un valore assoluto. Infatti è il soggetto che decide quali valori sono giusti nei diversi contesti. Tutto è relativo tranne l’io, che prende il posto di Dio. In questo senso il reativismo non è che un travestimento del superominismo di Nieztsche. Per Sartre è vero quello che dice Dostoevskij: «Se Dio non esiste, tutto è permesso». D’accordo: egli non dice, come André Gide, che ogni infamia è lecita se obbedisce al «principio di piacere». D’accordo: per Sartre l’uomo non deve agire solo come «responsabile di se stesso» ma anche come «responsabile di tutti gli uomini», ovvero deve calcolare gli effetti che le sue azioni hanno non solo su di sé ma anche sugli altri, perché gli altri non sono cose senza nessun valore («L’altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me»). Però Sartre dice anche che la libertà dell’altro restringe inevitabilmente la sfera della mia libertà. Se dunque l’unico valore assoluto è la mia libertà e se il prossimo la limita, se per sovrapprezzo non c’è un Dio a punire le mie eventali malefatte, chi me lo fa fare di limitare la mia libertà per rispetto del prossimo? Non sembra che Sartre abbia dei validi argomenti contro De Sade, che nella Filosofia del budoir sosteneva che solo con l’abrogazione delle leggi contro l’incesto, l’assassinio, il furto, la calunnia, l’infanticidio e via discorrendo i francesi sarebbero diventati pienamente «repubblicani» ovvero pienamente liberi. Marco Pannella, un ex seguace di Sartre, qualche valido argomento contro l’omicidio ce l’ha ancora, ma non se l’omicidio riguarda i bambini nel ventre della madre o le cellule che diventerenno prima bambini e poi adulti. Anzi secondo lui vietare questo tipo di omicidio è un attentato ai diritti fondamentali dell’uomo.

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Sui giornali sia di destra che di sinistra si legge che l’ideologia islamista è una forma di reazione alla modernità laica, agnostica, relativista, libertaria e libertina, e che quindi per limitare la diffusione dell’ideologia islamista fra le folte comunità islamiche d’Occidente è necessario rafforzare la cultura laica, agnostica, relativista, libertaria e libertina. Il cattolicesimo non può contrastare l’islamismo perché esprime i medesimi valori oscurantisti e reazionari dell’islamismo. Quindi fa bene Zapatero a concedere i matrimoni gay, a favorire l’aborto e a togliere ogni limite alla ricerca sulle cellule embrionali. Se per soggezione nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche Zapatero negasse agli omosessuali il “diritto” di sposarsi, togliesse alle donne il “diritto” di abortire e ostacolasse la ricerca sulle cellule embrionali, farebbe il gioco degli integralisti, che nei loro paesi linciano i gay, opprimono le donne e demonizzano il progresso tecno-scientifico. In realtà non sono i valori cattolici ma è proprio la libertà zapatera, svincolata dalla legge naturale, a fare il gioco degli islamisti.
Se non c’è più la legge naturale, non si possono vietare i matrimoni gay ma non si può neppure vietare la poligamia, non si può vietare la ricerca sulle cellule staminali ma non si può vietare neppure la clitoridectomia, non si può vietare la diffusione della pornografia di massa e ad un predicatore islamista di reclutare terroristi suicidi pronti a distruggere l’Europa. Il super-uomo di Nietzsche e l’uomo sartriano, che vivono superando di continuo i valori occidentali, aprono le porte ai killer dell’Europa.

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Nel tentativo di superare la sua visione anarchica e solipsistica, Sartre approdò al marxismo, «insuperabile filosofia del nostro tempo» (Questioni di metodo). Per lui il marxismo è soprattutto un formidabile collante ideologico in grado di unire tanti individui, altrimenti isolati, in una comune «azione rivoluzionaria» finalizzata a rompere le catene dell’alienazione prodotta dal sistema di produzione capitalista, e quindi ad allargare la sfera della libertà individuale. Tuttavia il comunismo è anche un progetto totalitario che appare incompatibile con la mistica esistenzialista della libertà assoluta. Poco preoccupato di questa contraddizione, Sartre prima militò nel partito comunista francese poi diventò guida intellettuale di un gruppo maoista non estraneo ad alcuni fatti di matrice terroristica (la Sinistra proletaria). Le origini di questa contraddizione vanno cercate nella filosofia di Rousseau, l’ispiratore del pensiero totalitario moderno. «La libertà è la meta finale del pensiero di Rousseau – dice Bertrand Russell -, ma è l’uguaglianza ch’egli apprezza, e ch’egli cerca di assicurare anche a spese della libertà».
Come ha dimostrato l’esperienza sovietica, l’uguaglianza perfetta non si può ottenere senza fare violenza agli individui che non vogliono essere uguali, che rivendicano il diritto di pensarla diversamente dagli altri e di fare scelte autonome. Ma questa è la realtà, non l’utopia di Rousseau e di Marx. Quello che è impossibile nella realtà è possibile nell’utopia, che è il sogno della perfetta coincidenza fra la libertà e l’uguaglianza sotto il segno della felicità. Nella società di Rousseau non ci sarà bisogno di usare la violenza per piegare le volontà difformi dalla “volontà generale” perché non ci saranno più volontà difformi (anche il marxismo prevede la violenza di Stato solo nella “fase di transizione” della “dittatura del proletariato”). Dal momento che saranno tutti felici, gli uomini dell’utopia non avranno né opinioni discordanti né conflitti d’interesse fra di loro. Come i beati del paradiso: «per quanti si dice più lì “nostro”, \ Tanto possiede più di ben ciascuno, \ E più di caritate arde in quel chiostro» (Dante, Purgatorio, XV, vv. 55-57). L’utopia in fondo non è altro che la parodia terrena del paradiso.

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In secondo luogo la cultura moderna ha partorito l’idea aberrante che la libertà è una gentile concessione dello Stato all’uomo, non un diritto naturale dell’uomo che lo Stato non può permettersi di calpestare. E paradossalmente, l’idea dello Stato-leviatano di Hobbes è una conseguenza proprio di una concezione distorta della libertà come libertà da Dio e dalla legge naturale. Se infatti la società non è composta di persone che condividono gli stessi valori ma di individui satrianamente liberi di fabbricarsi i loro valori e di vivere di conseguenza, per evitare l’anarchia sarà necessario imporre un ordine qualsiasi dall’alto, con mezzi dispotici. E «così si vedrà l’individualismo portare naturalmente al despotismo monarchico di Hobbes, oppure al despotismo democratico di Rousseau, o al despotismo dello Stato – Provvidenza e dello Stato – Dio di Hegel» (Jacques Maritain).

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Libertà da Dio significa libertà da tutto quanto è fatica, impegno e tensione alla realizzazione di un ideale che è allo stesso tempo il bene terreno della società e il bene ultraterreno della persona singola. La libertà secondo san Tommaso d’Aquino «è essenzialmente la facoltà che ci fa scegliere i mezzi che conducono al fine ed essendo il fine ultimo di ogni essere creato – sia che esso lo accetti o sia che lo rifiuti – prestabilito da Colui che creò questo essere» (Jacques Maritain). Similmente la libertà come la intendono i grandi teorici del liberalismo, questo figlio naturale del cristianesimo, è essenzialmente libertà di rispondere da se stessi ai propri bisogni e a quelli degli altri, di creare imprese e servizi, senza essere ostacolati dallo Stato-leviatano.
Come è noto, l’Illuminismo abolisce la prospettiva della felicità ultraterrena a favore della felicità terrena. Secondo gli illuministi la vita può essere goduta solo se non è più l’anticamera dell’altra vita. In realtà, privata delle anticipazioni della felicità ultraterrena (tutto quello che il Vangelo chiama “centuplo”), la felicità terrena si riduce progressivamente al mero piacere sensibile. Non avendo quindi altro ideale che il piacere immediato, la cultura figlia dei Lumi intende la libertà essenzialmente come esercizio edonistico confinato nel privato, come libertà di divertirsi, di abbandonarsi agli istinti più ineducati, di celebrare i matrimoni gay, di fumare gli spinelli e via discorrendo. Per potersi dedicare alla ricerca del piacere senza fastidi, l’uomo illuminista chiede allo Stato di liberarlo dalla fatica di rispondere da se stesso ai suoi bisogni: ecco quindi che il leviatano diventa quel formidabile distruttore di risorse economiche che è Stato assistenziale.
Il libertinaggio privato si associa naturalmente al liberticidio pubblico. Non a caso furono dei libertini incalliti a celebrare, sull’altare della ghigliottina, i primi sacrifici umani al leviatano. Il libertinaggio sessuale e la droga libera giocano un ruolo fondamentale nella società iper-totalitaria immaginato da Aldous Huxley nel romanzo Il mondo nuovo. Huxley aveva capito che l’edonismo estremo è uno strumento molto più efficace del terrrore poliziesco con cui il potere può ottenere l’obbedienza dal popolo. Gli schiavi devono essere liberi di divertirsi.

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Lo Stato assistenziale è l’antecedente necessario dello Stato totalitario. Il passaggio dallo Stato assistenziale allo Stato totalitario si compie quando lo Stato, oltre ad erogare servizi, eroga anche valori e fini sostitutivi di quelli della religione. Lo Stato nazista pone come fine supremo della vita umana, da cui discendono tutti i valori, il trionfo della razza eletta, lo Stato comunista pone come fine supremo della vita umana, da cui discendono tutti i valori, il trionfo della classe proletaria. Ma Sartre non negava tutti i valori? «Se Dio non esiste – dice Sartre – non troviamo davanti a noi dei valori o degli ordini in grado di legittimare la nostra condotta. Così non abbiamo delle giustificazioni o delle scuse. Siamo soli, senza scuse. È ciò che esprimerò con le parole che l’uomo è condannato ad essere libero. Condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa» (L’esistenzialismo è un umanismo).
Quella dell’uomo non è altro che una «coscienza infelice” abbandonata a se stessa e obbligata alla propria libertà senza possibilità d’appello o aiuto da parte di altro da sé. Ma ragioniamo: che cosa desidera, in fondo, la “coscienza infelice” se non di essere liberata dalla causa della sua infelicità, cioè dalla libertà senza regole? Come può resistere alla seduzione di un’ideologia totalitaria che le fornisce un armamentario di criteri e valori bell’e pronti cui conformare ogni sua azione e ogni sua scelta? Così si capisce perché nell’Occidente libertario e libertino fioccavano, ieri più di oggi, conversioni alla religione comunista. Così si capisce il paradosso per cui i figli viziati dell’Occidente ricco e benestante parteggiavano, nel Sessantotto, per dei regimi produttori di miseria e schiavitù. Sartre fu accolto come un eroe dagli studenti che, nella Sorbona occupata, sperimentavano le gioie del sesso e della droga sotto i poster di Mao Tse Tung.

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La religione rossa sta passando di moda. Dai giornali apprendiamo che oggi, nell’Occidente libertario e libertino, fioccano le conversioni ad un’altra religione. «Non ci sono cifre ufficiali, ma si parla di 20 mila conversioni all’anno negli Stati Uniti, 30 mila in Francia». «La donna inglese che ora si fa chiamare Umm Rashid dice che la cosa più decisiva è stata non dovere più perdere tempo ed energie per scegliere che cosa mettersi addosso, comprare le scarpe giuste, abbinare la borsa. Ora: tunica nera e velo. (.) Ne accolse una per tutte, definitiva: Dio è il più grande e Maometto è il suo profeta». La “religione della pace” libera la coscienza dalla libertà che la rende infelice donandole la pace. L’unico problema è che i neoconvertiti si sentono in pace con se stessi ma non con quelli che non vogliono convertirsi: «Umm Ayob, l’irlandese stordita dalle opinioni, oggi madre di quattro figli, terminò la propria intervista dicendo: “Vedo un gran bene provenire da questo terrorismo che Dio approva. Sta illuminando tanta gente”» (G. Romagnoli, “In fuga dall’Occidente, la nuova vita nel nome di Allah”, Repubblica, 17 luglio 2005).

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La teocrazia, ovvero il dispotismo esercitato da coloro che si pretendono rappresentanti di Dio, è un totalitarismo religioso. Viceversa il totalitarismo non è altro che una teocrazia atea. Non a caso quelli che ieri parteggiavano per il totalitarismo ateo oggi parteggiano per il totalitarismo religioso (vedi la terrorista rossa Lioce, che interpreta l’offensiva terroristica come la rivolta del Terzo Mondo povero, vedi i giornalisti del Manifesto, che i tagliateste li chiamano «resistenti»).
Come si fa a non capire che dietro questo filo-islamismo rosso ci sia molto più del banale odio anti-americano? Il nostro Jean Paul ha dato un contributo non secondario alla nascita di una corrente filo-islamista in seno al movimento comunista. Nella sua cerchia intellettale gravitava infatti l’antillano Franz Fanon, autore del testo capitale I dannati della terra. Fanon spronava i popoli del Terzo Mondo a liberarsi dall’oppressione politica e intellettale dell’Occidente, recuperando così i loro valori e la loro identità. Alì Shariati, un amico iraniano di Fanon e di Sartre, trovò nell’islam radicale la sorgente dei valori e dell’identità del suo popolo. Al principio occidentale del rispetto della vita propria e altrui Shariati oppose il principio ben più virile della distruzione della vita propria e altrui in cambio del paradiso. Shariati diede a Khomeini «un’arma formidabile: l’attualizzazione in chiave modernista e terzomondista, “antimperialista”, del martirio» (C. Panella, I piccoli martiri assassini di Allah). Così si vede come la cultura illuminista, di cui Sartre è l’estremo rappresentante, nutre per il totalitarismo religioso la stessa simpatia che nutre per il totalitarismo ateo. Khomeini e Pol Pot si erano formati negli stessi anni nella Parigi di Sartre.

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Come abbiamo visto, il concetto centrale del pensiero di Sartre è la libertà dell’uomo da Dio. Volendo liberarsi da Dio come da un tiranno, l’uomo Sartre in realtà finisce per consegnarsi mani e piedi prima alla tirannia politica e religiosa, e prima ancora alla tirannia della materia. «Ogni materialismo ha per effetto di considerare gli uomini, compreso il materialista stesso, come oggetti, cioè come una somma di reazioni determinate che nulla distingue dalla somma delle qualità e dei fenomeni che formano un tavolo, o una sedia, o una pietra. Noi vogliamo istituire per l’appunto il regno umano come un insieme di valori distinti dal regno materiale» (L’esistenzialismo è un umanismo). Ma se la coscienza umana (per-sé) è solo una “decompressione” o una “fessura” nella massa compatta della materia universale (in-sé), non è ipotizzabile nessuna autonomia dell’uomo dal regno della materia.
Dal punto di vista materiale l’uomo è qualche cosa di non molto diverso da un fiore o da un verme. «Per i biologi è stata una sorpresa scoprire, costruendo il genoma umano, che i nostri geni sono appena 25 mila, un numero circa uguale a quello del comunissimo fiore Arabidopsis thaliana, che cresce spontaneo lungo i sentieri, e poco più del verme Caenorhabditis elegans. L’enigma da sciogliere è legato ai meccanismi evoluti che pochi geni sanno esprimere sino a costruire la stupefacente complessità dell’uomo» (Corriere della sera, 1/7/05).
Certo rimarrebbe sempre la coscienza, che Sartre suppone onnipotente, a fare la differenza fra l’uomo e il verme. Ma il problema è che oggi la scienza tende a ridurre anche la coscienza ad una mera funzione del corpo, a una struttura biologica, ad umida nebbia secreta dalla molle materia cerebrale: «Sappiamo che la corteccia frontale ha un ruolo nella coscienza – nota Alberto Oliviero, direttore dell’Istituto di psicobiologia del Cnr -; siamo però lontani dal potere dare spiegazioni accettabili e ci limitiamo a constatare l’esistenza della coscienza quando alcune parti del cervello sono lese» (Corriere della sera, 1/7/05). «C’è ancora posto per l’anima immortale di Platone e di Agostino, per la sostanza pensante di Cartesio, per la mente che Berkley chiamerebbe le cose all’esistenza o per l’Io legislatore della Natura teorizzato da Kant? – chiede Giulio Giorello – Tutto ciò non potrebbe essere il riflesso della sintonia, più o meno fine, dei nostri neuroni e delle nostre sinapsi? Ci sentiremmo per questo ridotti a mere macchine, prodotte non dalla sapienza di qualche ingegnere, bensì dalle dinamiche cieche dell’evoluzione?» (G. Giorello, “Il fascino del buio”, Corriere della sera, 1/7/05). La risposta è che sì, ci sentiremmo ridotti a macchine in forma umana guidate da tutto ciò che le circonda ed infinitamente manovrabili dagli altri uomini. Macchine senza libertà. Ai suoi tempi Sartre fu tra i pochi a criticare il determinismo materialistico del marxismo e della psicanalisi freudiana, che cercano le cause degli atti dell’uomo nei fattori esterni alla sua volontà, siano essi la struttura economica o i sommovimenti del subcosciente.
Ma se alla radice del suo essere l’uomo non ha un fattore che sovrasta la materia, le sue azioni non possono non essere determinate dai fattori materiali che stanno fuori e dentro di se stesso.

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Anche la realtà, se è solo apparenza materiale, è letteralmente nauseante. «Il mondo… questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c’era stato niente prima di esso. Niente. Non c’era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Scoprire che il mondo non ha senso, che è assurdo, provoca la nausea» (dal romanzo La nausea). Per vincere la nausea l’uomo tenta di attribuire lui stesso un senso alle cose, di utilizzarle senza limiti in vista dei suoi desideri. In assenza di Dio, l’uomo lo sostituisce facendosi «centro e causa del mondo». Il problema è che non ci riesce, le cose sfuggono in continuazione alle direttive dei suoi pensieri e dei suoi progetti. Con gli altri uomini va anche peggio. Non è possibile nessun rapporto io-altro che non sia un uso reciproco, una reciproca degradazione a cosa (degradazione che Sartre si compiace di descrivere nei suoi romanzi in chiave di sado-masochismo sessuale). In definitiva, per Sartre «l’inferno sono gli altri» (A porte chiuse) e ciascun di noi è soltanto «un Dio mancato», «una passione inutile».

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Dunque l’uomo, nella prospettiva di Sartre, è un pezzo di materia impotente ad uscire da se stesso dalla palude insensata della materia . Al “Dio mancato” resta dunque una sola cosa sensata da fare: credere in Dio. Nel rapporto con Dio egli ritrova innanzitutto la parte di se stesso che è puramente umana, non materiale. Se è l’Infinito a pensare l’uomo, l’uomo ha in sé l’impronta dell’Infinito da cui è pensato e quindi ha un valore infinito. Questo fattore è l’anima spirituale. L’uomo scopre le impronte del Creatore anche nelle cose che lo circondano. Il mondo cessa di essere un «grosso essere assurdo», una sovrabbondanza «oscena» di apparenze insensate, e comincia ad essere segno e anticipazione dell’altro mondo. Infine, l’uomo scopre l’impronta dell’Infinito negli altri uomini e così comincia a diventare possibile l’amore come una relazione perfettissima dove l’io non distrugge il tu, dove anzi l’io valorizza il tu dell’altro. E il rapporto d’amore puramente umano che l’io ha col tu è una analogia e una partecipazione del rapporto d’amore che l’uomo ha con Dio.
La vera libertà è amare Dio che ci crea ogni istante. «L’attività del creare non è “un fare” da artigiano, ma una comunicazione dell’essere, per amore; è dono di sé, è volontà di fare partecipare gli altri esseri all’Essere. Quando si tratta dell’uomo, la creazione significa proposito di farlo partecipare alla natura divina, tra altri esseri mediante la libertà. (.) Il padre sa bene, chiamando il figlio all’esistenza, che collabora all’apparizione di una nuova libertà, che potrà opporsi alla sua, ma che egli spera che, in seno alla sua autonomia, deciderà liberamente di amare colui che l’ha generata. Dio non vuole delle prosternazioni da shiavi, dice Péguy. E nemmeno le vogliono i genitori». Chi oserebbe dire che nello slancio con cui il bambino si getta fra le braccia del padre e della madre rinuncia alla sua libertà? «Chi oserebbe dire che nello slancio che getta lo sposo e la sposa nelle braccia l’uno dell’altra c’è meno libertà che negli atti della vita dove ciascuno si sforza, da solo, di affermarsi agli occhi del mondo come “padrone di sé e dell’universo”?» (Charles Moeller, Letteratura moderna e cristianesimo).

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Dunque abbandonarsi fra le braccia di Dio è tanto naturale quanto, per un bambino, abbandonarsi fra le braccia del padre. Ma l’uomo moderno è proprio questo che rifiuta. Tutti i moti rivoluzionari dell’era moderna mirano a distruggere le autorità, in primo luogo quelle del re e del Papa. Siegmund Freud ha già detto da lungo tempo che ogni tipo di autorità non è che un prolungamento della figura del padre. Il Sessantotto non è stato altro che una coalizione di adolescenti mal cresciuta contro i padri. Sartre, eterno adolescente, fu l’unico adulto ad essere accolto nella Sorbona occupata. «Non esistono buoni padri, è la regola; non se ne deve volere agli uomini, ma al legame di paternità che è marcio. Fare bambini niente di meglio; averne, che iniquità! Se fosse vissuto, mio padre si sarebbe sdraiato su di me con tutto il suo peso e mi avrebbe schiacciato. Per fortuna è morto in giovane età» (Sartre). A questo punto è fin troppo chiaro che dietro il rifiuto dell’autorità paterna c’è il rifiuto di Dio padre. «Noi incontriamo qui la pietra di inciampo più grave dell’esistenzialismo ateo e della mentalità contemporaneo. L’uomo moderno rifiuta di essere generato. Egli vuole essere senza ascendenti e senza discendenti. L’importanza data alla omosessualità nella letteratura La fede in Dio porta solo benefici nella vita dell’uomo. Certo la fede non è una semplice opzione intellettuale, non basta volere credere in Dio per credervi. La parola ateismo, propriamente intesa, indica semplicemente l’assenza della fede, non il rifiuto preconcetto di essa. Ma il mondo moderno che Sartre rappresenta non è ateo: è anti-teista. Sartre non è colui che non crede, è colui che non vuole credere. Piuttosto che credere in Dio, preferisce fare il “Dio mancato” a vita; piuttosto che nutrire la speranza di una vita oltre la morte, preferisce non pensare alla morte o scendere a patti con essa. Barando, Sartre liquida il problema dell’esistenza di Dio come “irrilevante” e esclude la morte da ogni seria riflessione.
Similmente, Pedro Almodóvar può affermare che la morte degli altri può essere vissuta con “allegria”, che la morte “è anche vita e grazia: è la cultura del ritrovarsi, del tornare» (M. Porro, “Almodóvar: ecco i fantasmi delle mie donne”, Corriere della sera, 1\75). La morte non è nulla di male, bisogna saperla accettare, fa parte delle leggi della natura. L’anti-teista ammira e benedice la sapienza di madre natura, che distrugge la sua vita per fabbricare altra vita. L’anti-teista benedice il suolo e i vermi cui consegnerà la sua carne, con allegria.

Libera pornocrazia

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Pornografia: tutti drogati senza saperlo

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Publicato su Pepe 9, settembre-ottobre 2004

Al giorno d’oggi oscenità fa rima con libertà, il più sacro dei valori. Nell’omonimo, furbissimo film di Oliver Stone il pornografo Larry Flynt appare come un paladino della libertà martirizzato da bigotti farisei che condannano la pornografia con la stessa intensità con cui ne sono morbosamente attratti. In realtà, come ben sanno i cristiani, solo i santi non sono morbosamente attratti dalla pornografia e con essa da tutti i peccati della carne e dello spirito. Tuttavia dietro il successo planetario della pornografia non troviamo soltanto lo straordinario potere di attrazione del peccato bensì una cultura che si fonda sulla negazione del peccato originale ovvero di quella misteriosa debolezza che impedisce all’uomo di essere buono. In principio era Rousseau: “L’uomo è per natura buono, ed è reso cattivo soltanto dalle istituzioni” (Discorso sull’ineguaglianza). Tutto quello che l’uomo desidera è buono e bello, quindi bisogna impedire alle istituzioni di limitare i suoi desideri con leggi e divieti d’ogni sorta. La libertà dell’uomo, in sostanza, deve essere infinita come quella di Dio. La pornografia di massa è precisamente il risultato finale della libertà di commercio senza limiti, della libertà sessuale senza limiti, della libertà d’espressione senza limiti.

Innanzitutto la libertà di commercio. Intellettuali à la page e uomini della strada ritengono unanimi che la libertà consista essenzialmente nella libertà di scelta e che quindi un uomo sia tanto più libero quanto più numerose sono le occasioni di scelta e le cose fra cui scegliere. In quest’ottica la pornografia deve essere liberamente offerta sul mercato affinché sia l’uomo-consumatore a decidere se acquistarla oppure no. Quello che intellettuali e uomini della strada dimenticano è che la libertà consiste, più che nella facoltà di scegliere, nell’integrità di espressione fisica e psichica della persona. L’uomo è libero non solo quando può fare tutto quello che vuole ma quando la sua capacità di fare quello che vuole non è lesionata. Ebbene una offerta troppo invadente di pornografia costituisce quella forma di lesione della libertà che il catechismo della Chiesa cattolica designa col termine di tentazione. Un uomo che vuole stare alla larga dalla pornografia non riesce a rimanere fedele alla sua volontà tanto a lungo, se la pornografia gli viene offerta continuamente e senza tregua attraverso Internet, le edicole e i canali satellitari. Allo stesso modo solo un santo troverebbe facile rimanere fedele alla moglie se una segretaria molto avvenente lo provocasse in continuazione con inviti espliciti. Che gli uomini siano veramente deboli di fronte alle tentazioni, ovvero che il peccato originale non sia una favola, è dimostrato dal fatto che le segretarie hanno più successo delle mogli e che il mercato della pornografia si è più che decuplicato in un paio di decenni.

La forma di libertà cui la pornografia si lega in maniera più appariscente è la libertà sessuale. Se volete capire dove ci ha portato la cosiddetta liberazione sessuale leggete il proclama di una certa associazione danese: “ogni giorno che passa vengano inventati nuovi modi per ingigantire ulteriormente l’isteria attorno alla ‘pornografia infantile’. Chi ne ha la peggio sono probabilmente i bambini, che da tutto questo can can finiranno per concludere che il proprio corpo – e la sessualità in generale – è cosa di cui vergognarsi”. Quando in Svezia fu trovato un filmato che mostrava un bambino “sessualmente abusato – si legge ancora nel proclama – i poliziotti affermavano non soltanto che il bambino fosse svedese, ma anche che era stato drogato, rapito e probabilmente ucciso. Ma un avvocato a cui fu successivamente permesso di controllare il film affermò che il bambino era fresco, sveglio e per così dire ‘parte attiva nell’orchestra’. In seguito il bambino ‘rapito e violentato’ verrà casualmente identificato, vivo, vegeto e soddisfatto, dalla polizia in Olanda”. Bambino “parte attiva dell’orchestra” nonché “soddisfatto”: alzi la mano chi non ha capito che i membri della Danish pedophile association, che è assolutamente legale, stanno insinuando l’idea che il rapporto adulto-bambino è naturale e legittimo. E perché chiamarli mostri? In fondo sono coerenti con i principi di una cultura condivisa da tutti, anche da coloro che li vorrebbero linciare. Anzi i progressisti dovrebbero lodare l’abnegazione con cui i pedofili si espongono al linciaggio popolare pur di portare a termine l’opera di liberazione dell’umanità da tutti i tabù sessuali di marca cattolica. Effettivamente il suddetto proclama era esposto alcuni anni fa proprio nel sito web di quelli che fanno manifestazioni contro la Chiesa in nome della libertà di fumare gli spinelli e sterminare gli embrioni. Ma sulla strada che porta al rapporto adulto-bambino libero, dopo lo spinello libero, non troviamo solo i radicali. Gli ultimi discepoli di Freud, chiamati sessuologi, fanno da battistrada mandando la gente a liberare i mostri dell’inconscio nei sex shop: “il sex shop per i sessuologi è diventato una sorta di farmacia. ‘Ci mandiamo le coppie spente’ racconta Jannini ‘(…) Il sex shop può anche essere visto come un negozio delle fantasie erotiche. Uno dei grandi problemi dei sessuologi è proprio convincere i pazienti a non avere paura delle loro fantasie’” (Panorama, 15\6\2000). Al posto dell’amore e dei suoi insondabili misteri, la cultura figlia dei Lumi mette le “fantasie erotiche”. E se uno ha “fantasie” su donne più giovani e avvenenti della consorte? Non c’è problema: per le strade è disponibile a buon prezzo la carne fresca delle schiave. E se uno ha “fantasie” sugli animali? Non c’è problema: il rapporto uomo-animale è legale nella pornografia. E se uno ha “fantasie” sui bambini? Perché mai con gli animali si e con i bambini no? E chi l’ha detto che ai bambini non piaccia fare certe cose? Non dobbiamo forse insegnare ai bambini a non vergognarsi della loro sessualità, come dicono i nostri amici danesi? La parola castità oggi suona come un insulto. E perché i pedofili dovrebbero praticare la castità mentre tutti si godono tutto quello che vogliono, animali compresi? In effetti sono milioni i pedofili che non la praticano.

Secondo i radicali e Oliver Stone i veri eroi della libertà d’espressione non sono i dissidenti dei regimi totalitari ma i pornografi, anche quelli infantili. Va chiarito che i radicali non intendono promuovere la pedofilia (almeno non esplicitamente) bensì la libera circolazione di materiale pedo-pornografico. In effetti il proclama della Danish pedophile association ospitato sul loro sito non aveva a tema la pedofilia (almeno non esplicitamente) bensì la pedo-pornografia, presentata come una “medicina” che tiene il pedofilo lontano dai bambini. La tesi è che il pedofilo non sentirebbe il bisogno di cercarsi dei bambini veri se potesse soddisfare i suoi istinti davanti a delle fotografie che ritraggono dei bambini. Allo stesso modo la comune pornografia permetterebbe al maschio di sfogare i suoi istinti peggiori lontano dalle donne. In realtà un fenomeno psicologico chiamato desensibilizzazione depone contro questa tesi. La desensibilizzazione in pornografia è l’equivalente della assuefazione nella tossicodipendenza. A causa dell’assuefazione il tossicodipendente deve costantemente rincarare le dosi di droga per raggiungere lo stesso piacere che all’inizio riesce a raggiungere con dosi minime. Allo stesso modo il consumatore abituale di pornografia ha bisogno di dosi sempre maggiori di oscenità e violenza per provare piacere. A causa della desensibilizzazione le preferenze del pubblico medio si sono spostate gradualmente, col passare degli anni, dal porno-soft all’hard e poi dall’hard ai sottogeneri dedicati alle perversioni e alla violenza. Ormai la pornografia legale è in larga parte dedicata alla simulazione di incesti, stupri di gruppo, omicidi e pedofilia (a questo scopo vengono usati “attori” appena maggiorenni camuffati da bambini). È verosimile che, dopo essersi assuefatto ai filmati che mostrano delle violenze simulate, il consumatore di pornografia senta il bisogno di cercare filmati che mostrano delle violenze reali. E in effetti, per quanto sia difficile fare delle stime precise, l’ Fbi è certa che la produzione di porno criminale sia in aumento (D, 28\24). E una volta assuefatto anche agli snuff-movies? Perché negare che il consumatore di stupri in presa diretta si senta perlomeno invogliato a passare alle vie di fatto? E perché negare che in realtà gli bastano gli stupri simulati per maturare questo genere di voglie? Infine perché negare che il pedofilo assuefatto alla pedo-pornografia senta il bisogno di cercarsi delle piccole vittime in carne ed ossa? Alcuni anni fa, commentando l’uccisione di un bambina da parte di un gruppo di adolescenti di Andria, lo psichiatra Vittorino Andreoli si lasciò sfuggire questa ammissione: “Che cosa vuole che sia il pianto di una bambina per chi ha formato la sua sessualità su film hard- core dove si stupra e si ammazza…?” (Io donna, 9\9\2000).

Ma tralasciamo i generi pornografici estremi e concentriamoci sulla pornografia ordinaria. Nonostante il parere contrario dei ricercatori comportamentali, abbiamo ragioni di credere che anche la pornografia ordinaria incentivi i comportamenti violenti nel suo pubblico. I ricercatori non potranno mai dimostrare che un semplice “stimolo pornografico” basta a fare di un uomo uno stupratore perché l’uomo non è un animale da laboratorio che reagisce meccanicamente a degli stimoli esterni bensì una creatura razionale che agisce in base alla sua volontà, ai suoi desideri e ai suoi valori. I ricercatori si fanno questa domanda sbagliata: può la pornografia trasformare l’uomo in una macchina per stuprare? La risposta è ovviamente no. La vera domanda che dovrebbero farsi è questa: la pornografia fa apparire lo stupro un comportamento desiderabile? Se la risposta è sì, ciò basta per definire la pornografia un incentivo alla violenza, se è vero, come è fin troppo evidente anche a quelli che non credono nel peccato originale, che l’uomo è per natura molto sensibile al fascino della violenza (“la dolce ultraviolenza”, come la chiamava il protagonista di Arancia meccanica). In uno studio sull’argomento si legge che il protagonista della pornografia è sempre il “super-maschio” che esercita la sua onnipotenza sulla donna, la quale “deve assumere comportamenti seduttivi richiesti dall’immaginario maschile, che vagheggia un mondo di ‘donne facili’”, un mondo in cui l’uomo può “vedere finalmente brave ragazze, brave casalinghe ‘fare’ le prostitute senza esserlo”. In conclusione nella pornografia “molto raramente il rapporto sessuale uomo\ donna nasce su un piede di parità, per libera e reciproca scelta”. (R. Stella, L’osceno di massa). Verosimilmente la pornografia non alimenta nell’uomo dei sentimenti di rispetto per la donna. Verosimilmente un uomo che non nutre dei sentimenti di rispetto per la donna la tratterà senza rispetto. Se pensiamo che il consumo di pornografia è in crescita e riguarda tutte le categorie di uomini (dai pazzi criminali ai mariti, dai fratelli ai fidanzati, dagli amici ai conoscenti) noi donne non abbiamo molto da stare tranquille.

Se due fenomeni qualunque registrano il medesimo incremento in uno stesso periodo di tempo è probabile che fra essi esista una qualche correlazione di causa-effetto. Negli ultimi dieci anni la pornografia è diventata il settore trainante dell’intera Net-economy (Repubblica, 11\8\2000) e la voce principale nella produzione mondiale degli audiovisivi (Repubblica, 7\5\2000), mentre il numero dei sexy- shop si più che decuplicato (Repubblica, 18\14). Nello stesso periodo quale fenomeno si è incrementato tanto quanto il consumo di pornografia? Risposta: la violenza sulle donne e sui bambini. Secondo un luogo comune molto radicato non aumenterebbe il numero delle violenze a sfondo sessuale ma il numero delle denunce penali di quest’ultime. Che le denunce siano aumentate in conseguenza di una migliore legislazione a tutela delle vittime è indubbio, ma ciò non significa che non siano aumentate pure le violenze. Il Procuratore della Repubblica per i minori di Milano Giovanni Ingrascì riferisce che, a fronte di una percentuale di denunce che si mantiene sostanzialmente invariata, “nel distretto milanese il numero delle violenze sessuali commesse da minorenni, nel corso dell’ultimo anno è raddoppiato…” (Repubblica, 18\14). A differenza delle donne stuprate, che possono decidere di tenere nascosto il loro caso, le donne stuprate e uccise non possono nasconderlo perché vanno a finire all’obitorio. Se è vero che solo nei paesi occidentali aumentano costantemente le morti femminili conseguenti a stupro (dati forniti dalle Nazione Unite nel 1999) è sottinteso che aumentano anche gli stupri. Di solito si pensa allo stupratore come a uno psicopatico che aggredisce le sue vittime di notte per le strade deserte. In realtà “‘è raro trovarsi davanti soggetti con disturbi mentali o di personalità’, conferma il sessuologo Gabriele Traverso. ‘Gli aggressori sono in maggioranza mariti, fidanzati o ex. Ma anche padri, zii, fratelli’ (…) Secondo l’Unicef, in Europa, il 50 per cento degli assassini delle donne viene perpetrato dall’attuale o ex partner. (…) Non fanno eccezione i Paesi industrializzati come l’America dove, ogni nove secondi, una donna subisce abusi fisici dal proprio compagno” (D, 8\113). Assieme alla violenze sulle donne cresce, con lo stesso ritmo, il fenomeno dello sfruttamento sessuale dei bambini (e parliamo di milioni di bambini) e il mercato della prostituzione. In Italia si contano circa 70 mila schiave sessuali di cui il 20 per cento minorenni (Repubblica, 16\52) mentre negli Usa, secondo la Cia, ogni anno vengono introdotti illegalmente e costretti a prostituirsi 150.000 o 200.000 fra donne e bambini. Insomma, questi aridi numeri ci dicono che il sesso maschile sta diventando un’arma di distruzione di massa per donne e bambini. E vogliamo continuare a fare finta che la pornografia non c’entra niente?

POSTILLA DEL 19 DICEMBRE 2012

Sto per fare un piccolo esperimento scientifico. Qui, in margine a questo vecchio articolo che sicuramente nesusno legge più, incollerò tutte le parole di carattere pornografico che utenti sconociuti hanno digitato sui motori di ricerca. WordPress me le ha segnalate gentilmente nel corso dell’ultimo anno. Scommetto che adesso i contatti al blog si moltiplicheranno, e così potrò continuare a collezionare parole di carattere pornografico. Tutte insieme, queste parole e queste frasi ripugnanti costituiscono un eccellente materiale di studio sulle perversioni. Soprattutto, segnalano meglio di tonnellate di saggi e trattati il degrado della civiltà post-moderna.

 

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