Articolo pubblicato su Pepe 27, numero dedicato alla giustizia, uscito in dicembre 2013.
Pepe_27_Giustizia
LA CRISI ECONOMICA? E’ SPIRITUALE
Dal momento che è composto di corpo e spirito, un essere umano può subire sia ingiustizie di carattere fisico sia ingiustizie di carattere spirituale. L’omicidio e il furto, per fare due soli esempi, costituiscono ingiustizie fisiche, mentre la calunnia, la diffamazione e la menzogna costituiscono ingiustizie spirituali. Il corpo è un “mezzo” molto nobile, ma pur sempre un mezzo dello spirito: è il pensiero a muovere il corpo e non il corpo a muovere il pensiero. Dal momento che dunque lo spirito è in qualche maniera superiore al corpo, le ingiustizie spirituali sono molto più lesive delle ingiustizie fisiche. Nessuna massima è dunque più vera di questa: “Ne uccide più la penna che la spada”. Infatti la spada può infliggere solo delle lesioni fisiche, mente la penna può infliggere lesioni spirituali. Se ad esempio un giornalista diffama una persona, attribuendole colpe che non ha, quella persona molto probabilmente perderà tutte le amicizie, soffrendone molto. Una lesione “spirituale” ha quasi sempre anche conseguenze materiali: una persona diffamata a mezzo stampa rischia di perdere il lavoro e di ritrovarsi su una strada, nei casi più gravi può diventare bersaglio di vendette e rappresaglie da parte di quanti si considerano sue vittime.
Adesso vorrei soffermarmi su un tipo particolare di ingiustizia spirituale che oggi è molto diffusa: l’ingiustizia informativa, che consiste nel deformare e occultare la verità dell’informazione storica, economica, filosofica eccetera. Nessuna ingiustizia ha conseguenza più profonde, estese e devastanti delle ingiustizie informative, che sono le più grandi delle ingiustizie spirituali e quindi le più grandi ingiustizie in assoluto. Mi viene in mente un geniale aforisma di Hernest Hello, polemista cattolico del XIX secolo: «Sono i principi che guidano il mondo, senza che il mondo sappia da chi è condotto. La più lieve negazione religiosa si trasforma in catastrofi materiali spaventevoli. Tu neghi il dogma: ti credi nel regno delle teorie senza conseguenze: il sangue scorre. Sarai spaventato dagli effetti; non vedrai le cause». Negando l’immortalità dell’anima, mettendo l’uomo sullo stesso piano degli animali, la cultura atea e positivista ha aperto le porte dei lager e dei gulag
Venendo alla cronaca di questi giorni, la più piccola negazione filosofica ed economica si traduce in catastrofi storiche ed economiche spaventevoli. Il 16 ottobre 2013 sul Imola oggi Roberto Orsi della London School of Economics ha scritto: «dell’Italia non rimarrà nulla, in 10 anni si dissolverà. Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà. (…) L’Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell’UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese. (…) La scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale. (…) L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. (…) A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l’Italia.»
La dissoluzione prossima ventura dell’Italia è la logica conseguenza di una campagna di ingiustizia informativa portata avanti per più di cinquant’anni dalle élite intellettuali italiane, tutte rigorosamente di sinistra. Impadronitesi di tutte le centrali dell’informazione e dell’istruzione (giornali, televisioni, scuole, università eccetera), queste élite hanno potuto inoculare nella mente della stragrande maggioranza degli italiani le menzogne marxiste e keynesiane. Accecati da queste menzogne, gli italiani hanno sempre votato per i partiti che promuovevano l’aumento incontrollato della spesa pubblica e delle tasse e il saccheggio sistematico delle ricchezze prodotte. Sotto un altro punto di vista, gli italiani hanno sempre votato per i partiti statalisti perché in Italia tutti i partiti sono statalisti. In Italia l’unica scelta possibile è fra partiti molto statalisti e partiti un po’ meno statalisti, che si spacciano per “liberali”. Infatti in Italia, per dirsi “liberali”, ai politici basta promettere a vuoto di abbassare le tasse. Anche se non lo fanno, gli elettori non se ne accorgono e li votano di nuovo. Di recente i sedicenti “liberali” insediati nel “governo delle larghe intese”, autoproclamatisi comicamente “sentinelle anti-tasse”, hanno promesso di abbassare le tasse. Tuttavia, non solo non si sono impegnati a tagliare un solo euro di spesa pubblica ma l’hanno aumentata a nostra insaputa. Ora, la matematica elementare vieta di tenere insieme l’aumento della spesa pubblica con la diminuzione delle tasse. E’ come se io volessi comprare il doppio di quello che compravo prima spendendo la metà di quello che spendevo prima. E infatti le tasse stanno aumentando a nostra insaputa.
Ecco tutta la storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi in forma di sillogismo: le élite intellettuali hanno indotto gli italiani a votare per i partiti statalisti, i partiti statalisti hanno aumentato la spesa e le tasse, la spesa e le tasse stanno uccidendo l’Italia. La mente degli italiani è talmente obnubilata dalle menzogne, che non riescono neppure a vedere la realtà. Lo Stato li sta uccidendo e loro chiedono più Stato. L’Italia sta per dissolversi bel buco nero del debito e gli italiani chiedono allo Stato di aumentare il debito creando migliaia di posti di lavoro e stampando denaro. Vengono in mente i medici antichi, che non sapevano fare atro che salassi. Ebbene, il popolo italiano è simile ad un malato stremato da infiniti salassi che supplica lo Stato-medico di fargli ancora un altro salasso, ma più forte. E quando sarà in coma irreversibile, nell’ultimo barlume di coscienza prima della morte, stordito dalla morfina, il popolo si sentirà felice e dirà: “La ripresa sta arrivando”.
Come ho detto, questa follia suicida collettiva è stata scatenata dalla visione menzognera della realtà che le élite intellettuali italiane, tutte rigorosamente di sinistra, hanno inoculato nella mente degli italiani. Secondo questa visione, che è un po’ marxista e un po’ keynesiana, ogni crisi economica (con tutti i corollari: disoccupazione, inflazione, stagflazione, crisi del debito sovrano eccetera) sarebbe causata dall’accumulazione della ricchezza da parte dei “ricchi”, in altri termini i “ricchi” (borghesi, capitalisti) si arricchirebbero rubando ai “poveri” (proletari, operai, lavoratori dipendenti, disoccupati eccetera). I giornalisti di sinistra ripetono ogni giorno come un mantra: “Oggi i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più i poveri”.
Una volta convinto il popolo che i ricchi rubano ai poveri, lo si può convincere ad adorare lo Stato come una divinità. Gli intellettuali di sinistra ripetono come un mantra: “Lo Stato ha il compito di ridistribuire le ricchezze tramite il fisco”. Nel concreto, lo Stato socialdemocratico usa i soldi delle tasse per creare milioni di posti di lavoro pubblici (nella pubblica amministrazione e nelle aziende pubbliche), per finanziare welfare e per donare ai “poveri” ogni sorta di “ammortizzatori sociali”.
Una volta convinto il popolo che il compito dello Stato è di punire i “ricchi” e favorire i “poveri”, lo si può convincere che lo Stato fa bene a sequestrare più del cinquanta per cento del reddito a quanti hanno la sfortuna di non essere del tutto “poveri” e ad incrementare costantemente il debito pubblico. Infatti, oggi tutti i politici di destra e di sinistra, anche le “sentinelle anti-tasse”, credono ad un famoso truffatore di nome John Maynard Keynes, il quale sosteneva impunemente che per fare crescere l’economia lo Stato deve sperperare i soldi dei contribuenti, indebitare i contribuenti non ancora nati e stampare denaro dal nulla.
Quando il debito pubblico è scoppiato come un ordigno nucleare, gli intellettuali si sono trovati in seria difficoltà. Come potevano continuare a fare credere al popolo che lo Stato fa bene a sperperare il denaro dei cittadini di oggi e di domani? Ma è semplice: facendo leva sull’invidia sociale, hanno puntato il dito contro la finanza, le banche, le agenzie di rating, la Germania della Merkel e il “liberismo selvaggio”. Nello specifico, sono riusciti a fare credere al popolo che la crisi del debito sarebbe stata deliberatamente provocata dai finanzieri e dai banchieri, che vengono dipinti come massoni che complottano per spartirsi i resti dell’Italia. Inoltre, sono riusciti a fare credere al popolo che l’Europa sarebbe in mano alla Germania, che si divertirebbe sadicamente a distruggere l’Italia imponendo la “austerità” e impedendo alla Bce di stampare altro denaro. Infine, sono riusciti a fare credere al popolo che la causa prima ed unica della sua infelicità terrena sarebbe un fantomatico eccesso di liberalismo economico, ribattezzato “liberismo selvaggio”. Inoltre, soo riusciti a fare credere al popolo che “liberismo selvaggio” sarebbe sinonimo di “darwinismo sociale”. Come all’interno di una specie gli individui più “adatti” liquiderebbero fisicamente gli individui “inadatti”, così nel mercato “liberista” i “ricchi” sfrutterebbero, opprimerebbero e deprederebbero i “poveri”.
A propalare menzogne, ossia a commettere atti di ingiustizia contro la verità, ci si sono messi anche i cattocomunisti e i tradizionalisti cattolici. Dando man forte agli intellettuali di sinistra, questi cattolici sostengono impunemente che il “liberalismo” sarebbe una ideologia anti-cristiana, sorella del comunismo e del nazismo. Per loro Ronald Reagan e Margaret Thatcher sarebbero poco meno criminali di Hitler e Stalin. Sempre attentando alla giustizia dell’informazione, traggono abusivamente dal Vangelo una ideologia pauperista e manichea secondo cui ogni povero sarebbe buono a prescindere mentre ogni ricco sarebbe cattivo a prescindere. Naturalmente, l’ideologia pauperista non può che portare alla socialdemocrazia keynesiana. Chi pensa che i ricchi siano tutti cattivi per definizione, finirà inevitabilmente per chiedere allo Stato di punire i ricchi spogliandoli di tutte le loro ricchezze e simmetricamente di premiare i poveri consegnando loro le ricchezze sottratte ai ricchi (in effetti la vecchia Dc era un partito socialdemocratico che mirava alla “ridistribuzione delle ricchezze”).
Fin quando propaleranno queste menzogne, questi cattolici non faranno che aggravare le vere ingiustizie sociali, che oggi sono quasi tutte causate da uno Stato ateo che diventa ogni giorno più avido e rapace. Non è certo il “liberismo selvaggio” che costringe le aziende a fuggire all’estero o a chiudere. Non è certamente il “liberismo selvaggio” che spinge gli imprenditori al suicidio. Sono le tasse.
L’unica maniera per combattere queste terribili ingiustizie sociali, è ristabilire la verità
Non è vero che i “ricchi” rubano ai “poveri”, almeno non più. Nei secoli passati il popolo, che non era ricco, era obbligato a mantenere la classe nobiliare, che era ricca. Ma la classe nobiliare ha perso da tempo immemorabile i suoi privilegi, e ai discendenti dei conti e di marchesi tocca andare a lavorare. I ricchi di oggi non sono nobili parassiti del popolo bensì professionisti e imprenditori di successo, quasi tutti partiti dal nulla. In altri termini, nella società contemporanea, che è almeno in parte liberal-capitalista, la ricchezza è quasi sempre direttamente proporzionale al merito: più sei bravo e più guadagni. Inoltre, per definizione il merito del singolo poco o tanto va a vantaggio di tutti. Il bravo imprenditore fa prosperare la sua azienda, facendo aumentare il reddito di suoi dipendenti e creando sempre nuovi posti di lavoro. Quindi nella società liberal-capitalista basata sulla meritocratica il ricco non ruba al povero ma casomai arricchisce sia se stesso che il povero.
Nella società di ieri, dominata dall’aristocrazia, c’erano pochi ricchi e molti poveri. Nella società di oggi, basata sulla meritocrazia, i poveri sono sempre meno. C’è qualcuno che ha il coraggio di dire che per le strade delle nostre città c’è più miseria che nell’Inghilterra di Dickens? Per quanto possa sembrare scandaloso, per quanto possa urtare la sensibilità (invidiosa) di molti, oggi i poveri sono meno poveri proprio per merito degli odiati “ricchi”. Infatti, sono i professionisti di successo e gli imprenditori di successo a creare posti di lavoro per i poveri e a introdurre quelle innovazioni tecnologiche che migliorano la vita di tutti. Oggi le invenzioni di Steve Jobs e Bill Gates – per dirne solo due – entrano anche nelle case più umili, che hanno a disposizione confort e tecnologie che i nobili di ieri neppure si sognavano.
Non è vero che oggi i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri: è vero piuttosto che aumenta la “forbice” fra ricchi e poveri. A livello matematico, se un povero e un ricco raddoppiano i loro rispettivi stipendi, a livello matematico il divario fra i due stipendi aumenta. La distanza che c’è ad esempio fra 500 euro e 5000 euro è minore rispetto alla distanza c’è fra 1000 euro e 10.000 euro. A questo punto si può obiettare che, se lo Stato socialdemocratico toglie 5000 euro a chi ne guadagna 10.000, in primo luogo il ricco non morirà di fame e in secondo luogo lo Stato potrà investire produttivamente quei soldi, creando posti di lavoro da dare ai “poveri. In realtà, in ogni angolo del mondo i posti di lavoro pubblici sono tutti nel migliore dei casi poco produttivi e nel peggiore del tutto inutili. Già Frédéric Bastiat (1801 – 1850) nel secolo XIX si era accorto che i burocrati non solo non producono nulla ma rallentano ed ostacolano la produzione delle ricchezze opprimendo i cittadini produttivi con scartoffie. E oggi di impiegati-burocrati nelle pubbliche amministrazioni ce ne sono dieci volte tanto rispetto a quanti ce ne erano in Francia ai tempi di Bastiat. E poi c’è anche di peggio dei burocrati. Servono forse a qualcosa dieci forestali per ogni albero della Sicilia? Per quanto riguarda i “servizi” ai cittadini forniti dai comuni e dalle regioni, ciascuno ha avuto modo di verificare che sono vergognosamente inefficienti. Al sud di sanità pubblica di può morire.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che l’insieme dei posti di lavoro pubblici non creano le ricchezze ma le bruciano soltanto. Dobbiamo avere il coraggio di dire, con Bastiat, che ogni lavoratore pubblico è un parassita mantenuto dai contribuenti. Dobbiamo avere il coraggio di dire che i soldi dei contribuenti, oltreché ai parassiti che vegetano nei posti di lavoro pubblici, sono intascati da ladri di ogni genere e grado. Nei loro libri-inchiesta, Rizzo e Stella descrivono in maniera dettagliata tutte le innumerevoli, fantasiose maniere con cui la gente che gestisce il flusso denaro pubblico se ne mangia una parte senza dare nell’occhio.
Quindi, non è vero che lo Stato socialdemocratico toglie ai ricchi per dare ai poveri: è vero piuttosto che toglie ai produttori di ricchezza per dare ai parassiti e ai ladri. Se lo Stato lasciasse i soldi ai legittimi proprietari, che quei soldi se li sono guadagnati col merito e il duro lavoro, questi potrebbero impiegare quei soldi per creare posti di lavoro produttivi. Infatti, in ogni angolo del pianeta i posti di lavoro privati sono per definizione infinitamente più produttivi dei posti di lavoro pubblici. Ai “poveri” converrebbe molto di più avere a disposizione posti di lavoro produttivi piuttosto che farsi mantenere dai contribuenti. Invece di permettere loro di creare ricchezza e posti di lavoro, lo Stato impone ai “ricchi” produttivi tasse talmente esorbitanti che questi sono costretti a chiudere bottega, e, se possono, a fuggire all’estero. Alcuni si suicidano.
Quando ha finito di sperperare i soldi dei contribuenti viventi e non può ulteriormente indebitare quelli futuri, il governo socialdemocratico, su consiglio di John Maynard Keynes, fa quello che un privato cittadino non può fare senza finire in galera come “falsario”: stampa denaro dal nulla. A memoria d’uomo, quando il governo “falsifica” montagne di miliardi, si verifica quel fenomeno che si chiama inflazione, e che altro non è se non una tassa occulta anzi un furto occulto. Togliere valore al denaro faticosamente accumulato dai cittadini col duro lavoro non può chiamarsi altrimenti che furto.
Sfidando il buon senso e la logica elementare, Keynes diceva che i posti di lavoro improduttivi nel settore pubblico farebbero crescere l’economia. Se fosse vivo oggi, incoraggerebbe la regione Sicilia ad assumere ancora più forestali di quanti non ne abbia già assunti. D’altra parte, lui consigliava di assumere la gente per scavare le buche e per ricoprirle… D’accordo, è inutile spiegare nei minimi dettagli tutti i passaggi logici anzi illogici di un simile delirio. Dico soltanto che negli ultimi cinquant’anni tutti i governi occidentali hanno tartassato i cittadini produttivi, hanno indebitato i cittadini non ancora nati (“deficit spending”) e hanno falsificato montagne di miliardi (“quantitative easing”) proprio l fine di creare il maggior numero possibile di posti di lavoro pubblici, che è come dire pagare la gente per scavare le buche e per ricoprirle. A memoria d’uomo, queste politiche non hanno mai avuto effetti positivi. Tanto per chiarirci, le politiche keynesiane adottate da Roosevelt all’indomani della crisi del 1929 (il “New Deal”) non hanno posto termine alla crisi ma l’hanno trasformata in una Grande Depressione della durata di quindici anni. Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale il governo Usa dovette dichiarare la bancarotta e tagliò tutte le spese, rimandando a casa molti dipendenti. L’economia statunitense forse tracollò? No: cominciò a crescere ad un ritmo prodigioso. Il boom economico che ha coinvolto gli Usa e, per riflesso, l’Europa dal 1945 al 1965 circa non ha eguali nella storia dell’umanità. Poi il governo degli Usa tornò a sperperare i soldi dei cittadini e a stampare denaro dal nulla. E negli anni Settanta il mondo occidentale conobbe un nuovo mostro: la stagflazione, che la compresenza mortale di inflazione e disoccupazione.
La storia di oggi dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che ridistribuire le ricchezze significa distruggerle, che falsificare denaro significa rubare e che non si può indebitarsi all’infinito senza mai pagare i creditori. Sia chiaro a tutti che i colossali debiti che stanno inghiottendo, come buchi neri, le nazioni occidentali sono stati causati da cinquant’anni di “deficit spending” keynesiano. E sia chiaro che non solo per la piccola insignificante Italia ma per ogni nazione europea, per gli Usa e per il Giappone non c’è scampo se non si comincia immediatamente a tagliare all’osso la spesa pubblica. Come possono sopravvivere delle nazioni in cui c’è un parassita improduttivo ogni dieci cittadini produttivi? Insomma, oggi non sono i “ricchi” a rubare ai “poveri”: è lo stato a rubare sia ai ricchi che ai poveri per dare ai parassiti e ai ladri.
Invece di denunciare il problema del debito, i politici e gli intellettuali di sinistra se la prendono con i tedeschi, con gli speculatori e i banchieri, invitando il popolo a linciarli: “I tedeschi ci impongono l’austerità e ci impediscono di stampare denaro, mentre banchieri e speculatori hanno svenduto i titoli sovrani italiani per alzare gli interessi sul debito e guadagnarci!”. Ora, come ho detto, stampare denaro significa rubare e quindi dobbiamo ingraziare la Merkel, che fa di tutto perché non venga stampato. Quanto alla fantomatica “austerità”, quello che l’Europa aveva chiesto all’Italia era di tagliare la spesa pubblica, non di alzare le tasse. Ma i politici hanno preferito alzare le tasse pure di non tagliare un solo euro e non scontentare così i parassiti, che valgono oggi parecchi milioni di voti. Per non perdere pochi milioni di voti, condannano alla morte economica cinquanta milioni di cittadini. Sia chiaro a tutti che nessuna nazione nella storia umana è mai sopravvissuta con una tassazione così alta. E veniamo alla svendita dei titoli di Stato italiani. Semplificando al massimo, un titolo di stato è un pezzo di carta che rappresenta un brandello del debito pubblico italiano, poniamo 1000 euro. Se un risparmiatore decide di compralo, lo Stato italiano si impegna personalmente a restituirgli in futuro 1000 euro più un piccolo interesse, poniamo 50 euro. Ma ormai i risparmiatori non vogliono comprare i titoli italiani, perché sanno bene che difficilmente lo Stato italiano riuscirà a ripagarli. Infatti il debito è ormai fuori controllo, e non basterebbe tutto il Pil italiano per ripagarlo. Voi che imprecate contro le banche e le agenzie di rating demo-pluto-giudaico-massoniche, rispondete sinceramente: se foste voi a possedere montagne di titoli sovrani che molto probabilmente non verranno ripagati, rischiando così di finire su una strada a chiedere l’elemosina, non cerchereste forse di liberarvene? Per invogliare le banche e i risparmiatori a comprare gli svalutati titoli italiani, lo Stato italiano alza gli interessi sul debito. Se un risparmiatore compra 1000 euro di debito, lo stato si impegna a restituirgli in futuro 1000 euro più 100. E quando 100 non bastano ad attirare risparmiatori, lo stato ne promette 200, poi 300, poi 400… finché gli interessi sul debito diventano insostenibili. Insomma, pure di non tagliare la causa prima del debito, che è la spesa pubblica, lo Stato ci condanna a pagare oltre all’insostenibile debito anche gli interessi sul debito. Che è come dire che ci condanna a morte.
Come accennato, gli intellettuali della sinistra radical-chic fanno credere agli italiani che la “crisi” sarebbe causata dal fantomatico “liberismo selvaggio”. Ma come abbiamo visto, in realtà la causa prima e unica della crisi è la spesa pubblica. La spesa pubblica sta al mercato liberale come la polmonite sta ai polmoni. Infatti, le esorbitanti tasse sul lavoro e sul consumo necessarie a sostenere una spesa pubblica ormai fuori controllo, cui si aggiungono una selva bizantina di regolamenti inutili, fanno agonizzare il mercato. Quindi, fra tasse insostenibili e inquinamento burocratico, di “liberismo selvaggio” non c’è mai stata traccia né in Italia né negli altri paesi occidentali. Quello che i mentitori chiamano “liberismo selvaggio” in realtà si chiama liberalismo, ed è l’esaltazione di una cosa meravigliosa che si chiama libertà economica.
La storia dice che questo mondo non è perfetto e che quindi non esiste la soluzione perfetta per tutti i problemi del mondo. Tuttavia esistono soluzioni migliori delle altre. Ebbene, solo chi non conosce la storia recente può negare che, laddove è stato applicato, il liberalismo ha sempre portato maggiore prosperità economica e maggiore benessere per tutti, non solo per i “ricchi”, di quanto non ne abbia mai portati la socialdemocrazia. Nessuno può negare che negli anni Ottanta, per merito delle riforme liberali di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, le economie degli Usa e della Gran Bretagna crebbero aritmi vertiginosi, trainando la crescita economica di tutte le altre nazioni occidentali, Italia compresa. Poi negli anni Novanta sia gli Usa che la Gran Bretagna liquidarono tutte le riforme liberali, e iniziò quel lento declino economico che nel 2008 è diventato tracollo. Quindi a monte della crisi non c’è il “liberismo selvaggio” ma proprio l’abbandono del “liberismo selvaggio”.
Oltretutto, i cattolici che considerano abusivamente il liberalismo una ideologia anti-cristiana, sorella del comunismo e del nazismo, sappiamo che nella enciclica Centesimus annus Giovanni Paolo II, seguendo il liberale cattolico Michael Novak, dava sostanzialmente ragione ai liberali. Sappiano inoltre che sia Ronald Reagan che Margaret Thatcher erano cristiani convinti (pare che Reagan sia diventato addirittura “papista” in fin di vita). E la loro fede cristiana non era per nulla indipendente dalle loro convinzioni liberali. Infatti, il liberalismo non è una ideologia modernista, sorella del comunismo e del nazismo, ma è una corrente di pensiero che affonda le sue radici nella Summa san Tommaso d’Aquino e, prima ancora, nel Vangelo. Il pensiero liberale del divino dottore fu poi perfezionato e approfondito dai tomisti dei secoli successivi, in particolar modo da quelli della scuola di Salamanca. John Locke non disse nulla che non fosse già stato detto un secolo prima da quei dotti monaci spagnoli. Prima ancora che nella Summa, il pensiero liberale affonda le radici nel Vangelo. Nella parabola dei talenti Gesù paragona il buon cristiano ad un servo che sa fare fruttare un piccolo capitale iniziale di pochi talenti. In numerose parabole si parla di piccoli imprenditori agricoli che danno lavoro a parecchi “servi” ossia dipendenti. Poiché si fondava sul Vangelo, la società europea era estremamente “liberale” in campo economico già nell’alto Medioevo. Il capitalismo è nato nei conventi cistercensi, che erano anche ferventi centri di scambio, e le banche sono nate nei comuni italiani. Lungo le vie commerciali che univano l’Italia settentrionale alla Baviera alla Borgogna alle Fiandre si muovevano ininterrottamente uomini, merci, idee e pure arte. La pittura italiana e la pittura fiamminga si sono nutrite di reciproche influenze. La Firenze di Dante era ricchissima.
In effetti, nell’epoca più cristiana della storia, le persone non si vergognavano di creare e accumulare ricchezza per sé stesse e specialmente per il prossimo. Come fai a fare la carità ai poveri se non produci abbastanza neppure per te stesso? Insomma, la gente di fede nel Medioevo sapeva trattare con distacco i beni terreni e, all’occorrenza, spogliarsene (sull’esempio di san Francesco), ma non era pauperista. Infatti il pauperismo è una ideologia satanica che deriva dall’eresia catara e manichea, che denigra la carne e la creazione di Dio. Cristo non era cataro. Nelle sue parabole, non condanna la ricchezza ma condanna piuttosto il cattivo uso della ricchezza. Il ricco Epulone va all’inferno non perché è ricco, ma perché passa le sue giornate a gozzovigliare senza curarsi dei poveri come Lazzaro, che raccoglie le briciole che cadono dalla sua mensa. In altre parabole il personaggio “buono” è proprio un padrone mentre il “cattivo” è un suo servo. Quale è dunque la differenza fra il ricco cattivo e il ricco buono? Che il primo non aiuta i poveri e pensa solo a godere le sue ricchezze, mentre il secondo aiuta i poveri e investe proficuamente le sue ricchezze in una vera e propria azienda.
Accecati dal pauperismo anti-cristiano, i catto-comunisti idolatrano lo Stato che “ridistribuisce le ricchezze2 ossia che pretende di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Infatti, nella loro visione manichea il ricco è cattivo a prescindere e il povero è buono a prescindere, e di conseguenza pensano che lo Stato abbia il dovere di “punire” il ricco. Essi non si rendono conto che lo Stato socialdemocratico redistribuzionista è intrinsecamente anti-evangelico, in primo luogo perché ostacola la produzione dei beni, in secondo luogo perché vorrebbe rendere superflua la carità o, in altri termini, imporre quella che Rosmini chiamava “carità coatta”. Infatti, togliere al ricco tramite il fisco per dare al povero significa, in un certo senso, forzare il ricco a fare la carità. Ma se è imposta, se non è libera, la carità cessa di essere una virtù. I ricchi hanno certamente l’obbligo morale di aiutare i poveri: ma devono farlo liberamente, per amore dei poveri e di Dio, non per paura di Equitalia. Quindi, la socialdemocrazia è intrinsecamente anti-cristiana. Aggiungo che proprio John Maynard Keynes, uno dei massimi rappresentanti della corrente socialdemocratica, era un aristocratico massone che disprezzava profondamente il popolo e soprattutto i valori cristiani del popolo. Nella sua visione, il popolo doveva essere guidato da una piccola minoranza di Illuminati come lui. Egli operò una sorta di ribaltamento di tutti i valori cristiani in economia. Se il Cristianesimo insegna le virtù della parsimonia e della prudenza, che generano la tendenza economica al risparmio e alla previdenza, invece Keynes consiglia la prodigalità assoluta. Se il Cristianesimo induce il popolo a comportarsi come una formica, invece Keynes spinge il popolo si comporti come una cicala.
Ecco, la verità è questa. Ma il popolo la ignora. C’è qualche speranza di farla conoscere al popolo prima che sia troppo tardi?
P. S.
Da quanto detto, si capisce che il “liberalismo” non ha nulla a che fare col “darwinismo sociale”, inteso come teoria della supremazia del forte sul debole. Nella società liberale sia il ricco che il povero si arricchiscono, sebbene in proporzioni diverse. Oltretutto, la stessa teoria di Darwin ha ben poco a che fare con la libertà economica. In Le balle di Darwin, Johnathan Wells spiega che negli Usa le scuole e le università che vivono di finanziamenti pubblici sostengono la teoria di Darwin, mentre le scuole e le università private, che stanno sul mercato, sostengono teorie alternative a quella di Darwin. In sostanza, la teoria di Darwin non riesce a stare sul “mercato” delle idee scientifiche. In effetti, non convince più né gran parte degli specialisti né il vasto pubblico. Le prove contro di essa sono talmente numerose che è impossibile citarle tutte adesso: magari ne riparlerò. Per il momento rimando al libro di Wells. Nella virtuale lotta per la sopravvivenza scientifica la teoria di Darwin è destinata a non sopravvivere
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