Tesori in frantumi

Una voce dall'abisso

Archivio per il tag “pornografia”

GLI #‎STUPRATORI‬ SANTI CHE FANNO LA JIHAD

Mio articolo pubblicato oggi sulla versione pdf della Croce, per chi è abbonato. Me la prendo col mito, caro a certi cattolici, secondo cui i radicali islamici sono più “religiosi” e più “virtuosi” degli sporchi occidentali “senza Dio” e quindi “già morti” che pensano ad andare ad ascoltare gli Eagles of Death Metal al venerdì sera invece che pregare in moschea. Me la prendo col mito per cui “in fondo sgozzano perché cercano Dio”. Bel modo di cercare Dio e di perseguire la virtù: la Siria è un gigantesco bordello a cielo aperto in cui circolano pure tonnellate di droga. Ossia, questi “cercatori di Dio” non guardano pornografia come gli sporchi occidentali perché la pornografia se la fanno dal vivo con le bambine (sic). E, quando la pornografia non basta più ad offrire emozioni proibite, grano snuff-movie sadomasochisti in cui sgozzano prigionieri. No grazie: se questa è ricerca di Dio, preferisco la “debauche” dei senza-Dio e delle anime-morte occidentali.

Infine, spiego come l’occidente cristiano ha saputo creare bellezza. Gli artisti occidentali hanno saputo trovare un riflesso del divino anche nelle cose più banali e prosaiche, perché Dio si è fatto carne.

CroceStupratoriSanti

Il femminismo cattolico è l’unico vero antidoto al maschilismo

ottobre 2, 2015 Giovanna Jacob

C’è un femminismo ateo e materialista e un femminismo cattolico. Se il primo ha fatto male a tutti, il secondo ha fatto bene sia alle donne sia agli uomini.

Il femminismo cattolico è l’unico vero antidoto al maschilismo

IL DIAVOLO AL CINEMA

Eccolo finalmente il mio articolo sul DIAVOLO AL CINEMA!!!

In esso cerco di rispondere alla domanda da cento milioni di dollari: perché il piccolo La grande bellezza di Sorrentino e il semi-porno Lo sconosciuto del lago hanno avuto più successo dell’immenso To the wonder di Malick? Leggete e capirete.
Dopo avere risposto a questa domanda, esamino una serie di film dal contenuto esplicitamente o implicitamente anti-cristiano: Magdalene di Mullan, Philomena di Frears, E venne il giorno di Shyamalan, Carrie. Lo sguardo di Satana di De Palma e Seven di Fincher.

Per leggerlo, cliccate qui:

Il diavolo, probabilmente? No, certamente!

Buona lettura.

 

venerdì 11 ottobre 2013

Un metodo infallibile per fare successo nel mondo cinematografico. E non è un caso che il Papa Francesco abbia detto queste cose: “Ci sono alcuni preti che quando leggono questo brano del Vangelo, questo e altri, dicono: ‘Ma, Gesù ha guarito una persona da una malattia psichica’. Non leggono questo qui, no? E’ vero che in quel tempo si poteva confondere un’epilessia con la possessione del demonio; ma è anche vero che c’era il demonio! E noi non abbiamo diritto di fare tanto semplice la cosa, come per dire: ‘Tutti questi non erano indemoniati; erano malati psichici’. No! La presenza del demonio è nella prima pagina della Bibbia e la Bibbia finisce anche con la presenza del demonio, con la vittoria di Dio sul demonio”.

Oggi il cinema sta male in tutto il mondo. Di bei film se ne vedono pochi, di capolavori quasi nessuno. Un anno fa appare un film che sfiora il capolavoro: To the wonder di Terrence Malick. Non tutti possono apprezzare e condividere la complessa visione filosofica e religiosa di Malick, ma nessuno che abbia occhi e orecchie può negare che To the wonder è un film di altissimo livello, superiore da tutti i punti di vista alla stragrande maggioranza dei film usciti negli ultimi anni. Secondo molti critici, To the wonder sarebbe soltanto un vuoto esercizio di formalismo in cui le immagini contano più dei contenuti. In realtà, in quel film i contenuti passano proprio attraverso lo splendore delle immagini. Ma anche se fosse soltanto un vuoto esercizio di formalismo, To the wonder resterebbe comunque uno dei migliori film degli ultimi anni. Eppure, pubblico e critica lo hanno accolto tiepidamente. Quando è stato presentato al festival di Venezia, nel settembre del 2012, è stato battezzato da pochi, svogliati applausi e molti fischi. Invece, La grande bellezza di Paolo Sorrentino, uscito in pompa magna nel maggio del 2013, è stato accolto con entusiasmo dal pubblico e da gran parte (non tutta) della critica. Ha ricevuto perfino la nomination all’Oscar per il migliore film straniero. Insomma, la maggior parte degli spettatori e dei critici pensano che l’ultimo film di Sorrentino sia un capolavoro. Sono in pochi (fra i quali la sottoscritta) a pensare che La grande bellezza sia solo un filmetto sciatto e pretenzioso (se vi interessa, ho analizzato in maniera approfondita La grande bellezza in questo saggio pubblicato sul sito di Forma Cinema: La grande (assenza di) bellezza. Il manierismo vuoto di Paolo Sorrentino http://www.formacinema.it/obraz-on-line/installation/247-la-grande-assenza-di-bellezza-il-manierismo-vuoto-di-paolo-sorrentino ).
A questo punto dobbiamo chiederci: perché alla maggior parte della gente (per fortuna non tutta) l’ultimo film di Sorrentino sembra più bello dell’ultimo film di Malick? Io una idea ce l’avrei. Forse sbaglio, ma secondo me Sorrentino è più amato di Malick per la semplice ragione che Sorrentino ostenta un anticlericalismo tanto becero quanto convenzionale (rimando al mio saggio) mentre Malick ha l’impudicizia di ostentare una fede sincera. Che scandalo! E già, perché oggi la fede scandalizza molto più della pornografia. Anzi, la pornografia non scandalizza più nessuno, neppure i benpensanti. Leggo su una rivista: «Con Lo sconosciuto del lago, Alain Guiraudie ha scandalizzato i benpensanti, a Cannes mostrando il sesso com’è, meccanica e idraulica di corpi che si avvincono per alcuni minuti.» (Luca Mosso, “Scandaloso Guiraudie tra paura e desiderio”, Tutto Milano, 26 ottobre 2013) Ma va’ là: i benpensanti post-moderni applaudono fino a spellarsi le mani se gli fai vedere la pura meccanica dell’accoppiamento di due corpi dello stesso sesso. Non a caso, Lo sconosciuto del lago, che narra una storia d’amore gay, ha ottenuto il premio per la miglior regia nella sezione “un certain régard”. Se invece ai benpensanti fai vedere un film in cui c’è un prete che chiede a Dio di mostrare il suo volto, volano subito i fischi.
Sei un giovane regista emergente in cerca di successo? Dai retta a me: nei tuoi film mettici tanto sesso preferibilmente omo, tanta retorica multiculturale e soprattutto tante menzogne contro la Chiesa, e vedrai che diranno che sei il nuovo Fellini. Potrei suggerirti di fare un film su suore sadiche che seviziano adolescenti ambosessi nell’Irlanda cattolica, ma purtroppo questa idea è già stata sfruttata due volte. Suore aguzzine sono apparse infatti sia in Magdalene di Peter Mullan, uscito nel 2002, sia in Philomena di Stephen Frears, presentato quest’anno a Venezia. Per fortuna il repertorio delle leggende nere contro la Chiesa è molto vasto: fra esse ne troverai almeno una che fa al caso tuo. Mettila nel tuo film e presentalo ad un festival importante. Se nessuno ti vuole premiare perché il tuo film artisticamente fa schifo, non ti preoccupare: potrai sempre dire che i giurati dei festival non ti vogliono premiare perché il tuo film è troppo “coraggioso” per un paese arretrato e bigotto come il nostro.
La verità è che le “storie vere” narrate da Mullan e da Frears hanno la stessa validità storica di voci di corridoio. In primo luogo, bisogna vedere se le persone che hanno raccontato quelle storie non hanno mentito, distorto o anche solo esagerato i fatti. Non ho nessuna difficoltà a credere che fra milioni di suore nel mondo ce ne siano pure alcune molto cattive. In tutti i gruppi umani ci sono un certo numero di persone tutt’altro che buone. Ma appunto, il fatto che alcune suore siano cattive non dimostra che tutte le suore siano cattive. Analogamente, il fatto che alcuni preti siano pedofili non dimostra che tutti i preti lo siano. I registi Mullan e Frears utilizzano i racconti vaghi di mezza dozzina di persone che hanno avuto la sfortuna di incontrare pessime spose di Cristo per dimostrare surrettiziamente proprio questo: che tutte le suore d’Irlanda sono cattive perché la fede rende cattivi. Invece di parlare delle innumerevoli suore che assistono i poveri nel Terzo Mondo e degli innumerevoli preti che educano i giovani nelle parrocchie, registi e giornalisti puntano i riflettori su pochi preti pedofili e poche suore manesche. La verità, taciuta sistematicamente dai media, è che la percentuale dei pedofili fra gli uomini di Chiesa è molto inferiore alla percentuale dei pedofili fra i laici. Ma il più delle volte è inutile spiegare la verità. Infatti, la gente preferisce le menzogne alla verità perché le menzogne sono più seducenti. Se vuoi essere “in” e fare strada nel mondo devi ripetere queste menzogne. Perché il principe di questo mondo è mentitore e padre di menzogna.
Il diavolo non agisce mai apertamente. Lavora nel nascondimento. I suoi migliori servitori sono proprio quelli che non credono in lui. Per tornare al nostro tema, i cineasti atei diffondono con efficienza le menzogne che colui in cui non credono suggerisce loro. Da tempo sostengo che ne uccide più lo schermo che la penna. Fuor di metafora, una stessa menzogna è più potente quando passa attraverso uno spettacolo televisivo o cinematografico che non quando passa attraverso un’opera scritta, di qualunque genere essa sia. Infatti, i consumatori di televisione e di cinema sono incomparabilmente più numerosi dei lettori di opere scritte di tutti i generi. Cosa ancora più importante, le prime esigono poca attenzione da parte del fruitore mentre le seconde ne richiedono molta. Quando leggiamo qualunque cosa, non importa che cosa, la nostra mente lavora molto più che quando guardiamo uno spettacolo televisivo e un film (a meno che il film non sia una vera, grande opera d’arte: quando si innalza al livello dell’arte anche il cinema fa lavorare la mente a pieno regime). Ci sono buone ragioni per credere che, quando è troppo rilassata, la nostra mente tenda ad assorbire rapidamente, senza fermarsi a giudicarla, qualunque menzogna le venga propinata. D’altra parte, l’idea che lo schermo abbia un potere di persuasione molto superiore a quello della penna l’hanno già avuta in molti prima di me, in primo luogo Karl Popper e Marshall McLuhan.
Penso da tempo di stilare una lista completa dei prodotti cinematografici e televisivi che calunniano la Vera Religione. La lista, purtroppo, sarebbe lunghissima e si rischierebbe sempre di dimenticare qualcosa. Nella lista dovrebbero figurare, oltre ai due succitati film, anche Il codice da Vinci (2006) e Angeli e demoni (2009) di Ron Howard nonché Le Crociate di Ridley Scott (2005). Questi film distorcono la verità storica in maniera talmente palese e impudica che è inutile parlarne. Molto più numerosi dei film e telefilm che calunniano apertamente la Chiesa distorcendo la verità storica sono i film e telefilm che calunniano la stessa fede in Dio. Fateci caso: nella stragrande maggioranza dei film di massa i cristiani in generale e cattolici in particolare appaiono nel migliore dei casi come dei creduloni stupidi, nel peggiore come dei fanatici pronti a commettere ogni sorta di atrocità nel nome della fede. Per il momento, cito solo tre degli innumerevoli film che calunniano la fede: E venne il giorno di M. Night Shyamalan (2008), Carrie. Lo sguardo di Satana, di Brian De Palma (1976) e Seven di David Fincher (1995).
Nel primo film appare una vecchia pazza misantropa che abita da sola in una villetta isolata. Le pareti della sua camera da letto sono tappezzate di immaginette di Cristo e della Madonna. Poco prima di fare una fine orrenda, la vecchia ripete ossessivamente: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla, il Signore è il mio pastore, non manco di nulla…». Che cosa avrà insegnato o, meglio, che messaggio recondito avrà iniettato nella mente dello spettatore questa scena? Ecco il messaggio: la fede è una sorta di malattia mentale che ti allontana dai tuoi simili e Dio non ti aiuta quando ne hai bisogno per la semplice ragione che non esiste.
E veniamo al secondo film. Carrie, protagonista, è una ragazza emarginata e complessata che subisce ogni sorta di angherie da parte delle compagne di scuola e che a casa è oppressa dalla madre: una pazza bigotta con gli occhi spiritati che apre bocca solo per citare la Bibbia e riempie la casa di immagini devozionali e giganteschi crocifissi vagamente mostruosi. Impedendole di frequentare ragazzi maschi e sottoponendola ad ogni sorta di punizioni e castighi, la bigotta compromette irrimediabilmente la salute psichica della figlia. Il messaggio (subliminale) è fin troppo chiaro: la fede ti vieta di godere delle gioie della vita, rendendoti pazzo e violento.
E veniamo a Seven, un film freddo e manieristico, senza un briciolo di autentica poesia, che qualcuno si ostina a considerare un capolavoro. In una città sporca e marcia un serial killer comincia ad uccidere quelli che ai suoi occhi appaiono come “peccatori” esemplari. La sua politica è di “colpire un vizioso per educarne cento”. Non si riesce a capire se il serial killer è cattolico a tutti gli effetti, ma appare evidente che comunque ha ricevuto una educazione cattolica. Infatti, è ossessionato dai “sette vizi capitali” e prende ispirazione dalla Divina Commedia di Dante. Il messaggio è che la religione cattolica ti trasforma in un moralista intollerante e violento che odia i peccatori. Spero non ci sia bisogno di spiegare che in realtà la Chiesa ci insegna a non odiare i peccatori ma il peccato, riconoscendoci noi per primi peccatori bisognosi di misericordia. A parte questo, il fatto che in quello scadente filmetto ateo il serial killer prenda ispirazione della Divina Commedia, quasi che Dante Alighieri fosse il suo “mandante morale”, appare come una inaccettabile offesa verso il sommo poeta. Significativo il fatto che gli atei odino la Divina Commedia non meno di quanto la odino i fondamentalisti islamici. I fondamentalisti la odiano perché Dante Alighieri parla male del loro profeta, gli atei la odiano perché Dante Alighieri parla di Dio. Mentre i fondamentalisti se potessero, distruggerebbero tutte le copie della Divina Commedia presenti sulla faccia della terra, gli atei di casa nostra per il momento si limitano a chiedere che nelle scuole dell’obbligo non si insegni più la Divina Commedia. C’è da giurare che, almeno per qualche tempo, fondamentalisti e atei diventeranno “amici” – come Erode e Pilato – combattendo fianco a fianco contro i cristiani.

PORNO UTOPIA. “MI DIA ORGASMO!!!!! AVETE SENTITO TUTTI??? VOGLIO ORGASMO!!!!”

Woody Allen ha costruito un divertentissima gag sul tema della vergogna di consumare pornografia. Nel Dittatore dello stato libero di Bananas, Allen entra in una edicola, prende un pacco di riviste “intelligenti”, nasconde in mezzo al pacco una rivista pornografica, ma quando arriva alla cassa il cassiere urla ad alta voce al commesso che sta dall’altra parte del negozio: “Hei Ralph, ti ricordi quanto costa Orgasmo?” E Allen, vergognandosi, dice ad alta voce davanti a tutti come per giustificarsi: “Sto facendo una ricerca sulle perversioni sessuali. Sono agli atti di libidine su minori”.

Per farla breve, fra gli effetti collaterali della cosiddetta “rivoluzione sessuale” c’è stata l’incremento esponenziale della produzione e del consumo di materiali pornografici a livello mondiale. Secondo nuove ricerche, oggi una buona percentuale dei bambini entrano in contatto con la pornografia e di conseguenze cominciano a praticare l’onanismo attorno agli otto anni. Questa diffusione pandemica della pornografia ha delle conseguenze sociali devastanti, che sono ampiamente documentate (metterò riferimenti nei commenti). Tuttavia, non se ne parla o se ne parla pochissimo. La ragione è semplice: i sacerdoti della cultura dominante trovano estremamente imbarazzanti questi studi, e quindi fanno di tutti perché non se ne parli. Infatti, questi studi condannano irrimediabilmente tutto quello per cui loro hanno combattuto: la liberazione dai “tabù” sessuali di origine cattolica. Per la precisione, i figli del Sessantotto, sacerdoti della cultura dominante, hanno fatto sacrifici a quattro idoli: rivoluzione sociale + rivoluzione sessuale + droga libera per tutti + materialismo darwinista. Ebbene, tutti e quattro questi idoli si stanno frantumando da soli. La cultura della droga ha bruciato il cervello di intere generazioni, il marxismo ha fallito miseramente fra milioni di morti, la teoria di Darwin sta molto male… e adesso crolla pure il dogma della liberazione sessuale. Oggi scienziati eminenti affermano che è meglio rimettere in circolazione i “tabù” tanto invisi a Freud, se non vogliamo che i nostri figli muoiano a furia di masturbazione ossessiva-compulsiva. Se digitate sessodipendenza e pornodipendenza su Google, escono centinaia di titoli (spicca il sito dell’ex radicale Vincenzo Punzi). Segnalo anche la Pink cross, associazione di ex porno attori pentiti, che narrano gli orrori che si celano nei set del cinema a luci rosse. Comunque, i sacerdoti della cultura dominante e gli spacciatori di pornografia non sono riusciti a sconfiggere un nemico tenace, che resiste nella coscienza della gente: la vergogna. Per una qualche misteriosa ragione, nonostante tutto i consumatori di pornografia si vergognano a morte di fare sapere che consumano pornografia. Uno spiritoso giornalista francese ha dimostrato che, se non fossero state inventati sistemi di vendita che garantiscono il massimo anonimato, l’industria pornografica sarebbe rimasta ai margini. Invece, la diffusione dei videoregistratori prima e di internet dopo, che garantiscono la massima privacy, hanno fatto esplodere il consumo di porno.

Perché la gente si vergogna a fare sapere di consumare pornografia? Perché nel cuore dell’uomo esiste quello che gli atei gius-positivisti negano: una coscienza morale che riconosce istintivamente la legge naturale.

Ma per divertirci, immaginiamo il contrario. Immaginiamo una persona al passo con i tempi che si vanta di masturbarsi in continuazione davanti al materiale porno. Come vedrete, questa persona non fa che seguire i dettami della cultura post-freudiana e marcusiana.

Un “progressista” va in edicola e a testa alta urla: “Mi dia Orgasmo. Avete sentito tutti qua dentro? Ho detto: mi dia Orgasmo!!!!” E l’edicolante: “Lei sta per caso facendo una ricerca sulle perversioni sessuali?”. “No! La ricerca falla fare a tua sorella!!! Anzi, tua sorella dalla a me, di schiena naturalmente. Io Orgasmo lo uso, perché sono un uomo moderno al passo con i tempi, mica un represso cattolico. Anzi, vi dirò di più: Orgasmo lo faccio leggere anche a mio figlio di otto anni, perché la pornografia aiuta a sviluppare armoniosamente le pulsioni sessuali”. E la gente: “Ma lei è un mostro”. “Ma no, i mostri siete voi, che imponete ai bambini e agli adolescenti tanti tabù sessuali di origine cattolica che li faranno diventare degli adulti nevrotici… Ma non avete letto Freud? La censura sociale dei desideri sessuali inconsci genera nevrosi, ti può perfino fare perdere l’uso della gambe. E non avete letto Wilhelm Reich, bestie ignoranti? L’utopia terrena si realizzerà solo nel momento in cui tutti faranno sesso con tutti dalla mattina alla sera in tutte le più fantasiose maniere in ogni angolo di strada. Credete a me: se usate i genitali a pieno regime dalla mattina alla sera, come faccio io, vi scomparirà anche la più grande delle nevrosi: la nevrosi della fede. L’avete letto Totem e tabù? E così finalmente sarete liberi dal pensiero di Dio”. Uno dice: “Si vergogni. Lei parla parla, ma voglio vedere se fosse sua figlia ad andare a letto con tutti come reagirebbe….”. Progressista: “Ma sta scherzando? Appena ha compiuto diciotto anni, io mia figlia l’ho incoraggiata in tutte le maniere a darla a chiunque gliela chiede, anche ai miei amici più vecchi di me. A chiunque viene a casa mia offro, oltre al caffè, anche un orgasmo. Infatti, nella società utopica perfetta le giovani donne devono essere considerate un bene comune. Il comunismo sessuale deve essere completo. Non è giusto che gli uomini di una certa età sbavino dietro alle ragazze giovani senza mai poterle avere. D’altra parte, anche i ragazzi giovani devono essere incoraggiati a soddisfare sessualmente, gratuitamente, le tardone in menopausa, anche loro hanno diritto a godere delle prestazioni di uno stallone….”

L’APOCALISSE DELLA BELLEZZA. Riflessioni sulla bancarotta estetica dell’arte contemporanea.

Pubblicato su Pepeonline in due parti:

http://pepeonline.it/?p=449

Alcuni mesi fa su Repubblica Marco Lodoli ha denunciato che la cultura umanistica è in fin di vita. Ebbene, l’arte è la componente fondamentale della cultura umanistica. Se muore l’umanesimo muore la civiltà e se muore la civiltà muore l’uomo. Innanzitutto, dobbiamo chiederci: l’arte a che serve? A questa domanda san Tommaso d’Aquino ha dato una risposta definitiva: “L’uomo non può vivere senza diletti. Per questo, se sarà privato di diletti spirituali, passerà a quelli carnali”. Per tradizione, l’aggettivo “spirituale” si riferisce a tutto quello che concerne la dimensione non materiale dell’uomo, innanzitutto la dimensione della mente, che comprende non soltanto la ragione ma anche il sentimento, il desiderio, la volontà, la percezione, la memoria, la coscienza e infine anche l’inconscio. Ebbene, lo scopo dell’arte è proprio quello di dilettare la mente. Siccome solo l’uomo, fra tutte le creature, ha una mente, solo l’uomo fa arte. Quindi, la capacità di produrre e godere arte è ciò che distingue l’uomo dall’animale.

Quindi, togliendo l’arte, l’uomo ritorna animale. Ed è proprio quello che sta succedendo, almeno a giudicare ai termini più digitati sui motori di ricerca. Per farla breve, in quest’era che si suole denominare “post-moderna” è successo proprio quello di cui san Tommaso metteva in guardia: privati troppo a lungo di diletti spirituali, gli uomini si sono volti in massa ai diletti carnali. Mi riferisco al fatto che oggi il settore economico più fiorente a livello mondiale è quello della prostituzione e dei prodotti pornografici. Se fino a ieri i politici, per paura di apparire “bigotti”, hanno fatto finta di niente, oggi cominciano, sia pure timidamente, ad ammettere che forse sarebbe opportuno cominciare ad erigere qualche barriera per contenere, almeno contenere, lo tsunami colossale di liquami pornografici che sta inondando l’intero orbe terracqueo. Il governo islandese ha annunciato due mesi fa che metterà qualche blando divieto alla diffusione di pornografia via internet, e subito è stato accusato di bigotteria e oscurantismo. Onore al governo islandese. Tuttavia, i divieti e le sanzioni non bastano: per fermare lo tsunami pornografico occorre una vasta operazione culturale, incentrata sulla educazione estetica.

A dire il vero la pornografia è entrata da tempo come un virus, anche nell’arte stessa o, meglio, in ciò che gli somiglia. Per averne un’idea, pensate a un film che hanno visto tutti: Arancia meccanica di Stanley Kubrik. In una celebre scena, il teppista Alex (Malcolm McDowell) si introduce nella casa di una vecchia signora. Quando tocca un curioso oggetto poggiato sopra un mobile, la vecchia signora protesta: “Fermo non toccare: è una importante opera d’arte!” E il teppista esclama “vecchia porcona!”, che la dice tutta. Stanley Kubrick è stato davvero profetico: infatti oggi, a quaranta anni dall’uscita del film, nelle grosse esposizioni internazionali d’arte (arte?) ne potete trovare all’ingrosso di “importanti opere d’arte” in tutto simili a quella. Di tutti gli infiniti aspetti della vita umana, sembra che agli “artisti” più quotati a livello internazionale interessino solo il sesso, la morte e poco altro. Il problema è che non si sforzano neppure andare al fondo, di scandagliare il mistero, di cercare il senso recondito di questi aspetti fondamentali della vita umana. Anzi, si direbbe proprio che si sforzino di svuotarli di ogni senso, di volgarizzarli, di dissacrarli (è stato Roger Scruton a parlare di “dissacrazione” come carattere fondamentale dell’arte contemporanea). Guardano al sesso e alla morte non con sguardo di poeti ma con sguardo di depravati, sadici e perfino necrofili. Alcuni esempi: calchi in gesso di seni, falli e vagine umane (opere di Jamie McCartney), scheletri umani intenti a pratiche sodomitiche (opere di Jean-Marc Laroche), un busto umano composto di falli umani di plastica (opera di Tracey Emin), una mucca fatta a fette e uno squalo imbalsamato (opere di Damin Hirst), veri cadaveri umani scuoiati e plastificati (opere di Gunther Von Hagens). Gli psichiatri sanno bene che la pornografia confina con la scatologia. Non a caso, a volte gli artisti diventano addirittura simili a bambini che giocano con i loro escrementi (molto esplicite a questo proposito alcune performance di Paul McCarthy).

Ho detto che agli artisti mainstream interessa solo il sesso e la morte. Dimenticavo che sono morbosamente interessati anche ad un’altra cosa: i soldi. In effetti, le loro opere fruttano parecchio al “botteghino” dei musei e sono oggetto di colossali speculazioni finanziarie. Ebbene, il sesso e la morte c’entrano molto anche con i soldi. I produttori cinematografici sanno che, per vendere bene un film, bisogna riempirlo di sesso, violenza e cadaveri. Ebbene, gli artisti hanno imparato la lezione impartita dai produttori cinematografici e la applicano alla loro arte. Dal momento che va a punzecchiare direttamente la sfera degli istinti, scavalcando ogni barriera razionale, la rappresentazione del sesso e della violenza è una potente spezia psicologica. Più di recente, gli “artisti” hanno cominciato a fare largo uso di un’altra spezia: la provocazione. Per attirare l’attenzione del pubblico non c’è nulla di meglio che provocare scandalo, disgusto shock, ribrezzo o addirittura conati di vomito? Come si dice, che se ne parli male purché se ne parli. Oggi dire che un film “ha fatto scandalo” equivale ad elogiarlo e fargli una pubblicità gratuita. La provocazione si tinge spesso e volentieri di blasfemia. Pochi esempi: un crocifisso immerso nell’urina (opera di Gilbert e& George) una scultura che rappresenta Hitler in preghiera (opera di Maurizio Cattelan), una rana crocifissa (opera di Martin Kippenberger).

Quella che intasa le grosse esposizioni internazionali d’arte, sempre più simili a latrine, chiamatela come volete, ma non chiamatela arte. Infatti, fa tutto fuorché procurare diletti spirituali. E se non provoca diletti spirituali, non è arte. Oggi sembra realizzarsi la profezia di Hegel sulla “morte dell’arte”. Perché è morta? Quali le cause del decesso? Queste cause sono molteplici, ma tutte queste cause hanno a loro volta una unica causa, che è l’apostasia. Impossibile esaminare in questa sede tutte queste cause: lo farò in un saggio che sto scrivendo. Adesso esaminerò in maniera sintetica solo la causa principale: la negazione del valore oggettivo della bellezza.

La causa principale morte dell’arte è la morte della bellezza. Infatti la bellezza non è un accessorio, ma è l’elemento essenziale dell’arte, tanto è vero che una volta le arti si chiamavano “belle arti”.  Anche noi istintivamente di una pittura o di un film diciamo “bello” oppure “brutto”. Per noi come per i più autorevoli critici, un’opera può dirsi “opera d’arte” solo se è bella. E per un meraviglioso paradosso, può essere bella anche se ha a tema il dolore e la morte (si pensi a certi dipinti che rappresentano la passione di Cristo). Solo di recente la filosofia ha decretato apertamente la morte della bellezza. Ma la lunga agonia del concetto di bellezza è iniziata almeno due secoli fa, al tempo dei Lumi. Paradossalmente, fu proprio allora che nacque una filosofia incaricata di definire questo concetto: la filosofia estetica. I contributi più importanti alla filosofia estetica li hanno dati David Hume, Edmund Burke, Alexander Baumgarten ed Emmanuel Kant. Per tutti loro, la bellezza non esisterebbe negli oggetti che percepiamo, ma solo nella nostra mente. In altri termini, la bellezza non sarebbe una qualità degli oggetti belli, ma un sentimento suscitato in noi da questi oggetti. Per gli empiristi David Hume ed Edmund Burke la bellezza coinciderebbe precisamente con un “sentimento di piacere” causato in noi da certe forme, non con le forme stesse che lo causano. Burke ritiene che questo sentimento sia universale, mentre Hume ritiene che sia individuale. In sostanza, per Burke a tutti gli uomini, in ragione della comune struttura fisiologica, piacerebbero le medesime forme, mentre secondo Hume le medesime forme non piacerebbero a tutti gli uomini, ognuno dei quali avrebbe suoi personali e incomunicabili gusti. Hume tuttavia cerca di evitare il relativismo estetico assoluto, sostenendo che certe persone avrebbero più “buon gusto” delle altre. Se una cosa piace ad una persona di buon gusto, suggerisce Hume, puoi stare certo che è veramente bella. A questo punto, Hume cade nel ragionamento circolare: è bello ciò che piace alle persone di buon gusto, hanno buon gusto le persone a cui piace ciò che è bello. Emmanuel Kant ha il merito di avere superato l’edonismo superficiale dei due empiristi inglesi. Egli riprende da loro l’idea che la bellezza coincida col “sentimento di piacere”, ma questo sentimento lo distingue dal “piacevole”: bello non è “ciò che piace ai sensi nella sensazione” (che è appunto il piacevole) ma ciò che diletta la mente provocando “il libero gioco” di immaginazione e intelletto.

Ma in ogni caso Kant rende definitivo il soggettivismo estetico. Dopo Kant i principali teorici di estetica si sono preoccupati quasi esclusivamente di definire la natura e lo scopo dell’arte, tralasciando di definire la bellezza. Senza dubbio, accettano la definizione di bellezza fornita da Kant. Ma il fatto che gli stili e i gusti varino in continuazione da un luogo all’altro e da un’epoca all’altra sembra indicare che non tutti gli uomini condividono la medesima idea\sentimento di bellezza (in realtà non è così, come vedremo). Era dunque inevitabile che, un passo dopo l’altro, si arrivasse a negare anche l’esistenza di un’unica idea\sentimento di bellezza e che si affermasse il relativismo assoluto dei gusti. Partita da Hume, la filosofia estetica torna a Hume e anzi lo radicalizza. Se Hume ammetteva ancora, seppure incoerentemente, l’esistenza un “buon gusto”, adesso non si ammette neppure quello: “De gustibus non est disputandum”. Se i gusti sono tanti e nessuno è più vero dell’altro, al massimo si potrà fare una statistica dei gusti, e si potrà stabilire che l’opera che piace a più persone vale di più di quella che piace a meno persone. Se dunque alla gente piace vedere tutte le opere macabro-pornografiche di cui sopra, allora dal punto di vista relativista quelle opere sono arte, e chi lo nega è un bigotto oscurantista.

Ma adesso vediamo dove gli illuministi hanno sbagliato. Come abbiamo visto, la filosofia estetica settecentesca concepisce la bellezza come un sentimento o un’idea che non esiste al di fuori dell’uomo. Invece, prima dell’illuminismo nessuno aveva difficoltà a riconoscere che la bellezza esiste nelle cose come qualità oggettiva. Gli illuministi non sbagliavano affatto quando dicevano che noi tutti abbiamo la medesima idea\sentimento di bellezza. Ma il fatto che noi abbiamo questa idea\sentimento non significa affatto che la bellezza esista solo in questa idea\sentimento. Pensiamo alla matematica e alla geometria: esse sono vere sia nel nostro pensiero che nella realtà. Due più due fa quattro e l’ipotenusa è uguale alla radice quadrata della somma dei due cateti sia nel pensiero che nella realtà. Perché invece la bellezza dovrebbe esistere solo nel nostro pensiero?

Una volta ammesso che la bellezza esiste anche al di fuori della nostra mente, non ci resta che descriverla. Proviamo a paragonarla ad un colore, ad esempio al rosso. Non esistono soltanto le cose rosse ma anche il rosso, che è una certa gradazione delle onde luminose. E questa gradazione luminosa possiamo in qualche maniera isolarla dalle cose. Invece, la bellezza non è un fenomeno fisico e quindi non può essere isolata in provetta. Inoltre, è molto difficile da descrivere. Per noi è facile descrivere le singole cose belle, mentre è difficilissimo descrivere la bellezza stessa, intesa come qualità che accomuna tutte le cose belle. La varietà dei gusti e degli stili non dimostra che la bellezza è relativa, casomai dimostra che è sconfinata: la bellezza può manifestarsi in talmente tante forme che non si è mai finito di trovarle tutte. Descrivere la bellezza non significa dunque scegliere alcune forme belle a discapito di altre ma trovare gli elementi che hanno in comune le infinite forme belle. Ma a quanto pare, la bellezza è talmente misteriosa che nessuno è mai riuscito a trovare qualcosa come la formula chimica o matematica della bellezza. Al massimo, si è riusciti a stilare un lungo elenco di caratteristiche della bellezza: le principali sono, secondo tradizione, l’unità d’insieme e la proporzione fra le parti. Ma se è vero che tutte le forme belle sono unitarie e proporzionate, è altrettanto vero che non tutte le forme unitarie e proporzionate sono belle. Evidentemente, nella bellezza c’è una x misteriosa che sfugge al ragionamento. Per andare subito al sodo, quella x misteriosa ha a che fare col mistero stesso in senso teologico. La bellezza non è una cosa fisica, ma una “sostanza” metafisica. Di conseguenza, non può essere formulata in termini scientifici: può essere definita solo in termini metafisici e teologici. La formula definitiva della bellezza ce l’ha data San Tommaso d’Aquino: la bellezza è integrità (integritas) più proporzione (proportio) più “splendore del mistero” (claritas). Di questo “splendore del mistero” o “chiarità di una forma” possiamo dire soltanto, in maniera suggestiva e imprecisa, che è l’irruzione dell’infinito nella forma finita. Sì, la bellezza ha a che fare con Dio. La bellezza nella sua infinita estensione è attributo di Dio: è lo splendore del vero e del bene riuniti. Noi su questa terra vediamo riflessi infinitesimali della bellezza infinita.

Dunque non c’è arte senza bellezza e non c’è bellezza senza Dio. In altri termini, sembra che senza la fede sia impossibile fare arte bella. Gli intellettuali mainstream conducono da anni una jihad fanatica contro quel che resta del concetto di bellezza proprio perché hanno capito che non si può credere nella bellezza senza credere in Dio, e loro non vogliono crederci. Gli illuministi, ancora non avevano ripudiato la fede, almeno non del tutto: si dicevano deisti o agnostici. Perché avevano imprigionato la bellezza nei limiti della soggettività? Perché avevano intuito che la bellezza, lasciata libera, era pericolosa. La bellezza infatti conduce l’uomo fuori da sé stesso, verso il cielo. Essi credevano ancora in Dio, ma volevano crederci “moderatamente”, senza troppo entusiasmo. Insomma, essi hanno allontanato la bellezza da Dio, senza ancora negare Dio. Poi si è pensato che si potesse fare completamente a meno di Dio e tenersi solo la bellezza. Oggi si pensa di fare a meno anche della bellezza per tenersi solo l’arte. Ma l’arte, privata della bellezza, si auto nega. Quindi, ormai è come se fossimo alla resa dei conti: o ritorniamo alla fede o dobbiamo semplicemente rinunciare all’arte e annegare nella pornografia. A voi la scelta.

Libera pornocrazia

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Publicato su Pepe 9, settembre-ottobre 2004

Al giorno d’oggi oscenità fa rima con libertà, il più sacro dei valori. Nell’omonimo, furbissimo film di Oliver Stone il pornografo Larry Flynt appare come un paladino della libertà martirizzato da bigotti farisei che condannano la pornografia con la stessa intensità con cui ne sono morbosamente attratti. In realtà, come ben sanno i cristiani, solo i santi non sono morbosamente attratti dalla pornografia e con essa da tutti i peccati della carne e dello spirito. Tuttavia dietro il successo planetario della pornografia non troviamo soltanto lo straordinario potere di attrazione del peccato bensì una cultura che si fonda sulla negazione del peccato originale ovvero di quella misteriosa debolezza che impedisce all’uomo di essere buono. In principio era Rousseau: “L’uomo è per natura buono, ed è reso cattivo soltanto dalle istituzioni” (Discorso sull’ineguaglianza). Tutto quello che l’uomo desidera è buono e bello, quindi bisogna impedire alle istituzioni di limitare i suoi desideri con leggi e divieti d’ogni sorta. La libertà dell’uomo, in sostanza, deve essere infinita come quella di Dio. La pornografia di massa è precisamente il risultato finale della libertà di commercio senza limiti, della libertà sessuale senza limiti, della libertà d’espressione senza limiti.

Innanzitutto la libertà di commercio. Intellettuali à la page e uomini della strada ritengono unanimi che la libertà consista essenzialmente nella libertà di scelta e che quindi un uomo sia tanto più libero quanto più numerose sono le occasioni di scelta e le cose fra cui scegliere. In quest’ottica la pornografia deve essere liberamente offerta sul mercato affinché sia l’uomo-consumatore a decidere se acquistarla oppure no. Quello che intellettuali e uomini della strada dimenticano è che la libertà consiste, più che nella facoltà di scegliere, nell’integrità di espressione fisica e psichica della persona. L’uomo è libero non solo quando può fare tutto quello che vuole ma quando la sua capacità di fare quello che vuole non è lesionata. Ebbene una offerta troppo invadente di pornografia costituisce quella forma di lesione della libertà che il catechismo della Chiesa cattolica designa col termine di tentazione. Un uomo che vuole stare alla larga dalla pornografia non riesce a rimanere fedele alla sua volontà tanto a lungo, se la pornografia gli viene offerta continuamente e senza tregua attraverso Internet, le edicole e i canali satellitari. Allo stesso modo solo un santo troverebbe facile rimanere fedele alla moglie se una segretaria molto avvenente lo provocasse in continuazione con inviti espliciti. Che gli uomini siano veramente deboli di fronte alle tentazioni, ovvero che il peccato originale non sia una favola, è dimostrato dal fatto che le segretarie hanno più successo delle mogli e che il mercato della pornografia si è più che decuplicato in un paio di decenni.

La forma di libertà cui la pornografia si lega in maniera più appariscente è la libertà sessuale. Se volete capire dove ci ha portato la cosiddetta liberazione sessuale leggete il proclama di una certa associazione danese: “ogni giorno che passa vengano inventati nuovi modi per ingigantire ulteriormente l’isteria attorno alla ‘pornografia infantile’. Chi ne ha la peggio sono probabilmente i bambini, che da tutto questo can can finiranno per concludere che il proprio corpo – e la sessualità in generale – è cosa di cui vergognarsi”. Quando in Svezia fu trovato un filmato che mostrava un bambino “sessualmente abusato – si legge ancora nel proclama – i poliziotti affermavano non soltanto che il bambino fosse svedese, ma anche che era stato drogato, rapito e probabilmente ucciso. Ma un avvocato a cui fu successivamente permesso di controllare il film affermò che il bambino era fresco, sveglio e per così dire ‘parte attiva nell’orchestra’. In seguito il bambino ‘rapito e violentato’ verrà casualmente identificato, vivo, vegeto e soddisfatto, dalla polizia in Olanda”. Bambino “parte attiva dell’orchestra” nonché “soddisfatto”: alzi la mano chi non ha capito che i membri della Danish pedophile association, che è assolutamente legale, stanno insinuando l’idea che il rapporto adulto-bambino è naturale e legittimo. E perché chiamarli mostri? In fondo sono coerenti con i principi di una cultura condivisa da tutti, anche da coloro che li vorrebbero linciare. Anzi i progressisti dovrebbero lodare l’abnegazione con cui i pedofili si espongono al linciaggio popolare pur di portare a termine l’opera di liberazione dell’umanità da tutti i tabù sessuali di marca cattolica. Effettivamente il suddetto proclama era esposto alcuni anni fa proprio nel sito web di quelli che fanno manifestazioni contro la Chiesa in nome della libertà di fumare gli spinelli e sterminare gli embrioni. Ma sulla strada che porta al rapporto adulto-bambino libero, dopo lo spinello libero, non troviamo solo i radicali. Gli ultimi discepoli di Freud, chiamati sessuologi, fanno da battistrada mandando la gente a liberare i mostri dell’inconscio nei sex shop: “il sex shop per i sessuologi è diventato una sorta di farmacia. ‘Ci mandiamo le coppie spente’ racconta Jannini ‘(…) Il sex shop può anche essere visto come un negozio delle fantasie erotiche. Uno dei grandi problemi dei sessuologi è proprio convincere i pazienti a non avere paura delle loro fantasie’” (Panorama, 15\6\2000). Al posto dell’amore e dei suoi insondabili misteri, la cultura figlia dei Lumi mette le “fantasie erotiche”. E se uno ha “fantasie” su donne più giovani e avvenenti della consorte? Non c’è problema: per le strade è disponibile a buon prezzo la carne fresca delle schiave. E se uno ha “fantasie” sugli animali? Non c’è problema: il rapporto uomo-animale è legale nella pornografia. E se uno ha “fantasie” sui bambini? Perché mai con gli animali si e con i bambini no? E chi l’ha detto che ai bambini non piaccia fare certe cose? Non dobbiamo forse insegnare ai bambini a non vergognarsi della loro sessualità, come dicono i nostri amici danesi? La parola castità oggi suona come un insulto. E perché i pedofili dovrebbero praticare la castità mentre tutti si godono tutto quello che vogliono, animali compresi? In effetti sono milioni i pedofili che non la praticano.

Secondo i radicali e Oliver Stone i veri eroi della libertà d’espressione non sono i dissidenti dei regimi totalitari ma i pornografi, anche quelli infantili. Va chiarito che i radicali non intendono promuovere la pedofilia (almeno non esplicitamente) bensì la libera circolazione di materiale pedo-pornografico. In effetti il proclama della Danish pedophile association ospitato sul loro sito non aveva a tema la pedofilia (almeno non esplicitamente) bensì la pedo-pornografia, presentata come una “medicina” che tiene il pedofilo lontano dai bambini. La tesi è che il pedofilo non sentirebbe il bisogno di cercarsi dei bambini veri se potesse soddisfare i suoi istinti davanti a delle fotografie che ritraggono dei bambini. Allo stesso modo la comune pornografia permetterebbe al maschio di sfogare i suoi istinti peggiori lontano dalle donne. In realtà un fenomeno psicologico chiamato desensibilizzazione depone contro questa tesi. La desensibilizzazione in pornografia è l’equivalente della assuefazione nella tossicodipendenza. A causa dell’assuefazione il tossicodipendente deve costantemente rincarare le dosi di droga per raggiungere lo stesso piacere che all’inizio riesce a raggiungere con dosi minime. Allo stesso modo il consumatore abituale di pornografia ha bisogno di dosi sempre maggiori di oscenità e violenza per provare piacere. A causa della desensibilizzazione le preferenze del pubblico medio si sono spostate gradualmente, col passare degli anni, dal porno-soft all’hard e poi dall’hard ai sottogeneri dedicati alle perversioni e alla violenza. Ormai la pornografia legale è in larga parte dedicata alla simulazione di incesti, stupri di gruppo, omicidi e pedofilia (a questo scopo vengono usati “attori” appena maggiorenni camuffati da bambini). È verosimile che, dopo essersi assuefatto ai filmati che mostrano delle violenze simulate, il consumatore di pornografia senta il bisogno di cercare filmati che mostrano delle violenze reali. E in effetti, per quanto sia difficile fare delle stime precise, l’ Fbi è certa che la produzione di porno criminale sia in aumento (D, 28\24). E una volta assuefatto anche agli snuff-movies? Perché negare che il consumatore di stupri in presa diretta si senta perlomeno invogliato a passare alle vie di fatto? E perché negare che in realtà gli bastano gli stupri simulati per maturare questo genere di voglie? Infine perché negare che il pedofilo assuefatto alla pedo-pornografia senta il bisogno di cercarsi delle piccole vittime in carne ed ossa? Alcuni anni fa, commentando l’uccisione di un bambina da parte di un gruppo di adolescenti di Andria, lo psichiatra Vittorino Andreoli si lasciò sfuggire questa ammissione: “Che cosa vuole che sia il pianto di una bambina per chi ha formato la sua sessualità su film hard- core dove si stupra e si ammazza…?” (Io donna, 9\9\2000).

Ma tralasciamo i generi pornografici estremi e concentriamoci sulla pornografia ordinaria. Nonostante il parere contrario dei ricercatori comportamentali, abbiamo ragioni di credere che anche la pornografia ordinaria incentivi i comportamenti violenti nel suo pubblico. I ricercatori non potranno mai dimostrare che un semplice “stimolo pornografico” basta a fare di un uomo uno stupratore perché l’uomo non è un animale da laboratorio che reagisce meccanicamente a degli stimoli esterni bensì una creatura razionale che agisce in base alla sua volontà, ai suoi desideri e ai suoi valori. I ricercatori si fanno questa domanda sbagliata: può la pornografia trasformare l’uomo in una macchina per stuprare? La risposta è ovviamente no. La vera domanda che dovrebbero farsi è questa: la pornografia fa apparire lo stupro un comportamento desiderabile? Se la risposta è sì, ciò basta per definire la pornografia un incentivo alla violenza, se è vero, come è fin troppo evidente anche a quelli che non credono nel peccato originale, che l’uomo è per natura molto sensibile al fascino della violenza (“la dolce ultraviolenza”, come la chiamava il protagonista di Arancia meccanica). In uno studio sull’argomento si legge che il protagonista della pornografia è sempre il “super-maschio” che esercita la sua onnipotenza sulla donna, la quale “deve assumere comportamenti seduttivi richiesti dall’immaginario maschile, che vagheggia un mondo di ‘donne facili’”, un mondo in cui l’uomo può “vedere finalmente brave ragazze, brave casalinghe ‘fare’ le prostitute senza esserlo”. In conclusione nella pornografia “molto raramente il rapporto sessuale uomo\ donna nasce su un piede di parità, per libera e reciproca scelta”. (R. Stella, L’osceno di massa). Verosimilmente la pornografia non alimenta nell’uomo dei sentimenti di rispetto per la donna. Verosimilmente un uomo che non nutre dei sentimenti di rispetto per la donna la tratterà senza rispetto. Se pensiamo che il consumo di pornografia è in crescita e riguarda tutte le categorie di uomini (dai pazzi criminali ai mariti, dai fratelli ai fidanzati, dagli amici ai conoscenti) noi donne non abbiamo molto da stare tranquille.

Se due fenomeni qualunque registrano il medesimo incremento in uno stesso periodo di tempo è probabile che fra essi esista una qualche correlazione di causa-effetto. Negli ultimi dieci anni la pornografia è diventata il settore trainante dell’intera Net-economy (Repubblica, 11\8\2000) e la voce principale nella produzione mondiale degli audiovisivi (Repubblica, 7\5\2000), mentre il numero dei sexy- shop si più che decuplicato (Repubblica, 18\14). Nello stesso periodo quale fenomeno si è incrementato tanto quanto il consumo di pornografia? Risposta: la violenza sulle donne e sui bambini. Secondo un luogo comune molto radicato non aumenterebbe il numero delle violenze a sfondo sessuale ma il numero delle denunce penali di quest’ultime. Che le denunce siano aumentate in conseguenza di una migliore legislazione a tutela delle vittime è indubbio, ma ciò non significa che non siano aumentate pure le violenze. Il Procuratore della Repubblica per i minori di Milano Giovanni Ingrascì riferisce che, a fronte di una percentuale di denunce che si mantiene sostanzialmente invariata, “nel distretto milanese il numero delle violenze sessuali commesse da minorenni, nel corso dell’ultimo anno è raddoppiato…” (Repubblica, 18\14). A differenza delle donne stuprate, che possono decidere di tenere nascosto il loro caso, le donne stuprate e uccise non possono nasconderlo perché vanno a finire all’obitorio. Se è vero che solo nei paesi occidentali aumentano costantemente le morti femminili conseguenti a stupro (dati forniti dalle Nazione Unite nel 1999) è sottinteso che aumentano anche gli stupri. Di solito si pensa allo stupratore come a uno psicopatico che aggredisce le sue vittime di notte per le strade deserte. In realtà “‘è raro trovarsi davanti soggetti con disturbi mentali o di personalità’, conferma il sessuologo Gabriele Traverso. ‘Gli aggressori sono in maggioranza mariti, fidanzati o ex. Ma anche padri, zii, fratelli’ (…) Secondo l’Unicef, in Europa, il 50 per cento degli assassini delle donne viene perpetrato dall’attuale o ex partner. (…) Non fanno eccezione i Paesi industrializzati come l’America dove, ogni nove secondi, una donna subisce abusi fisici dal proprio compagno” (D, 8\113). Assieme alla violenze sulle donne cresce, con lo stesso ritmo, il fenomeno dello sfruttamento sessuale dei bambini (e parliamo di milioni di bambini) e il mercato della prostituzione. In Italia si contano circa 70 mila schiave sessuali di cui il 20 per cento minorenni (Repubblica, 16\52) mentre negli Usa, secondo la Cia, ogni anno vengono introdotti illegalmente e costretti a prostituirsi 150.000 o 200.000 fra donne e bambini. Insomma, questi aridi numeri ci dicono che il sesso maschile sta diventando un’arma di distruzione di massa per donne e bambini. E vogliamo continuare a fare finta che la pornografia non c’entra niente?

POSTILLA DEL 19 DICEMBRE 2012

Sto per fare un piccolo esperimento scientifico. Qui, in margine a questo vecchio articolo che sicuramente nesusno legge più, incollerò tutte le parole di carattere pornografico che utenti sconociuti hanno digitato sui motori di ricerca. WordPress me le ha segnalate gentilmente nel corso dell’ultimo anno. Scommetto che adesso i contatti al blog si moltiplicheranno, e così potrò continuare a collezionare parole di carattere pornografico. Tutte insieme, queste parole e queste frasi ripugnanti costituiscono un eccellente materiale di studio sulle perversioni. Soprattutto, segnalano meglio di tonnellate di saggi e trattati il degrado della civiltà post-moderna.

 

Sorella Samira

Pubblicato su Tempi, aprile 2004.

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